A chi chiede il «cambio di passo che non arriva». A chi lamenta «l’assenza di discontinuità». A chi già comincia ad alimentare dubbi: «E vabbè, ma che sta facendo Draghi, quanto dura così…». Per carità, non sono le nomine che fanno la differenza. A volte non è sufficiente una buona squadra per vincere le partite. E non basterà il licenziamento, avvenuto ieri e tenuto coperto fino agli ultimi minuti, del super commissario Domenico Arcuri a sconfiggere la pandemia.

La sostituzione del Commissario speciale con un generale di corpo d’armata esperto di logistica nei grandi teatri di crisi internazionali è però il pezzo mancante di un disegno che nel complesso – il ritorno di Curcio alla Protezione Civile, la nomina di Franco Gabrielli sottosegretario alla Presidenza con delega ai servizi segreti – segna il cambio di tattica, strategia e di obiettivi. «I vaccini sono la prima emergenza economica del paese» ha detto il premier chiedendo la fiducia al Parlamento. Sono l’unico modo per combattere la pandemia, far ripartire il paese ed evitare il default economico.

La conclusione del mandato ad Arcuri è anche la rimozione di quel che resta del contismo a palazzo Chigi e dintorni. In venti giorni è cambiato molto di più di quello che appare. Persino i 5 Stelle non si sono opposti alla rimozione di colui che per un anno è stato il mr. Wolf italiano. Solo che ha risolto poco. Quasi nulla. Italia viva segna un’altra tacchetta nella lista delle richieste esaudite. Giubilo di Lega, Forza Italia. Giorgia Meloni, che è all’opposizione, addirittura entusiasta. È stato un colloquio cortese ma breve, soprattutto inappellabile quello tra Mario Draghi e il supercommissario Domenico Arcuri. Un dialogo riservato, avvenuto a palazzo Chigi poco dopo le due del pomeriggio, e un attimo prima che il comunicato ufficiale salutasse il generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliuolo come nuovo commissario straordinario per l’emergenza Covid.

«Cambiamo approccio, non servono più gli acquisti, è necessario vaccinare i cittadini e dobbiamo farlo il prima possibile. È uno spreco, in queste condizioni, tenere un milione e 600 mila dosi in frigorifero» è stato il senso del colloquio tra i due. L’obiettivo del piano vaccini è arrivare a 300 mila dosi al giorno. Siamo a mala pena a centomila. Le varianti del virus hanno fatto aumentare i contagi di 30 mila in una settimana. Sono già 500 le micro zone rosse blindate che sindaci e governatori hanno istituito nel paese per isolare l’infezione. Non c’è tempo da perdere. Tutto questo è diventato un comunicato diffuso ieri alle 15 e 35: «Il Presidente Mario Draghi ha nominato il generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliuolo nuovo commissario per l’emergenza Covid-19. A Domenico Arcuri i ringraziamenti del governo per l’impegno e lo spirito di dedizione con cui ha svolto il compito a lui affidato in un momento di particolare emergenza per il Paese».

Semplicemente non esistono i mr. Wolf. E non si può essere adatti a tutte le stagioni e a tutte le emergenze. «Io non faccio troppe cose, ne faccio una sola», combatto la pandemia ha detto pochi giorni fa Arcuri. In effetti, oltre al dossier Ilva e all’agenda di Invitalia, Arcuri in questi mesi ha fatto di tutto, dalle mascherine all’app Immuni, dai banchi a rotelle all’approvvigionamento di siringhe, fino alla sfida più impegnativa, il più grande piano vaccinale nella storia italiana che aveva immaginato in oltre mille tendoni nelle varie città italiane con il logo delle Primule in segno di rinascita. Il Commissario è finito sulla graticola per ciascuna di queste voci, al netto di inchieste giudiziarie (sull’acquisto delle mascherine) che lo vedono coinvolto come parte offesa e su cui presto sarà chiamato dai magistrati per spiegare cosa è successo. E cosa non ha funzionato. Aver speso un miliardo e 200 milioni per 800 milioni di mascherine acquistate tramite intermediari (tutti indagati) dalla Cina (all’epoca l’Italia era sprovvista di Dpi), non gli ha però giovato.

Adesso cambia tutto. Nella speranza e con la volontà che funzioni meglio. La squadra che dovrà gestire la pandemia è un “work in progress” che vede Draghi aiutato e confortato nelle scelte da un tecnico come il prefetto Franco Gabrielli che ha lasciato il Viminale e la guida della Polizia di stato per assumere la delega all’intelligence, uno dei civil servant che meglio conosce la macchina dell’emergenza in Italia, quella del terrorismo interno ed esterno; quella della Protezione civile che ha guidato per anni fin da quando fu nominato commissario per la ricostruzione de L’Aquila; quella della macchina della sicurezza, immigrazione compresa.

Il primo tassello è stato nominare Francesco Curcio alla guida del Dipartimento della Protezione civile che torna ad essere, dopo la parentesi Arcuri, il braccio armato della lotta alla pandemia. Curcio è già al lavoro e ha chiari gli obiettivi: coordinare i 21 piani regionali (ciascuno ha il suo) per le vaccinazioni; più che raddoppiare le dosi inoculate giornalmente (da 100 a 200 mila con l’obiettivo di arrivare a 300 mila); gestire il piano nazionale e coordinare i 300 mila volontari medici e infermieri più l’Esercito che attendono il via per essere operativi nei vari centri vaccinali che dovranno essere allestiti ovunque.

A questo punto entra in gioco il secondo tassello, il generale Figliuolo. Dal 7 novembre 2018 è Comandante Logistico dell’Esercito, il braccio operativo dell’emergenza con la Protezione civile. La fama di Figliuolo è di essere uno in grado di allestire tende e recuperare e rendere agibili strutture in poche ore per garantire gli spazi vaccinali anche nei tanti comuni piccoli e isolati così come nelle grandi città, secondo quei ritmi inglesi che Draghi ha indicato come esempio per combattere la pandemia. L’obiettivo di Curcio e del commissario è rendere omogenea a livello nazionale la tempestività delle vaccinazioni (dunque rivedere le fasce e le convocazioni) e l’attuazione dei piani di prevenzione.

Resta un terzo tassello ancora da sistemare: il Comitato tecnico scientifico. Il premier metterà mano, a breve, anche al Cts. È vero che al momento le dosi scarseggiano. Ma a partire da aprile, entro la fine dell’anno, arriveranno in Italia 27 milioni di dosi. Un tesoro che non può essere sprecato. Intanto vanno usate tutte quelle che ci sono, mai più rimanenze nei frigoriferi, prevedere una sola dose senza il richiamo (con Astrazeneca ma il Cts nicchia) per dare una protezione anche se non totale al numero più alto di persone.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.