Così il mar Mediterraneo tornerà a bagnare la città
Economia navale è la chiave della ripresa per Napoli, subito Zes e centro Emsa
Il centro studi Srm ha presentato ieri il rapporto annuale sull’economia marittima italiana. I dati rivelano l’importanza del settore marittimo per il nostro Paese. Le vie marittime assorbono il 33% dell’interscambio italiano, per un valore complessivo di 206,3 miliardi di euro. L’anno della pandemia ha segnato una contrazione del 17% rispetto al 2019, ma il primo trimestre del 2021 ha segnato già un incremento positivo del 3% rispetto al stesso periodo del 2020. Il Mediterraneo si conferma come una delle principali vie di traffico containerizzato mondiale, assorbendo il 27% dei circa 500 servizi di linee internazionali. Si prevede per questo anno un aumento del 4,2% dei volumi di traffico marittimo, pari a 12 miliardi di tonnellate, superando il livello pre-Covid, e per il 2022 le stime prevedono un ulteriore incremento del 3,1%.
In questo contesto quale ruolo può avere il Sud che si protende come un braccio di terra al centro del Mediterraneo? Il rapporto dice che i porti meridionali hanno mostrato una maggiore resilienza durante la pandemia, registrando un calo del 3,4% contro il 10 del resto d’Italia e incidendo per il 47% sul totale del traffico italiano. Tuttavia l’Italia, non solo il Mezzogiorno, non riesce a migliorare i dati nel settore del trasporto container che resta ancorato ai 10 milioni di teu annui. La vivacità dei porti meridionali è dimostrata anche dalla scelta delle imprese del Sud di avvalersi prevalentemente delle vie d’acqua per le importazioni e le esportazioni, movimentando un interscambio pari al 57% del traffico merci totale della macroregione, contro il 33% dell’intera Italia.
Ma la flotta italiana resta leader nel settore trasporto a corto raggio nel Mediterraneo con una quota di mercato pari al 37%. In questo ambito, il peso dei porti del Mezzogiorno resta rilevante anche nel settore traghetti e nel comparto Energy, in cui rappresenta il 47% dei rifornimenti e delle esportazioni petrolifere via mare del Paese con terminali di importanti pipeline dal Nord Africa e dall’Asia. Infine il Mezzogiorno presenta una rilevante presenza di attività cantieristica, con 4.400 imprese nel settore, contro numeri decisamente minori del resto d’Italia. La nota dolente riguarda tuttavia il porto di Napoli che ha un volume di traffico decisamente inferiore rispetto a Trieste, Genova e Livorno.
Questi dati dimostrano che gran parte della ripresa dell’economia meridionale dovrà passare attraverso il mare. Il Recovery Plan prevede lo stanziamento di 3,8 miliardi per interventi di ammodernamento, in chiave ecosostenibile, e potenziamento di porti, logistica e trasporti marittimi, mentre altri 630 milioni sono destinati alla realizzazione delle Zone economiche speciali (Zes). Queste possono essere davvero un volano per l’economia meridionale, in quanto capaci di creare le condizioni più adatte all’insediamento delle imprese, riducendo i costi di trasporto, barriere tariffarie e altri costi di transazione relativi agli scambi, e attraendo investimenti esteri in regime di semplificazione burocratica e tariffaria.
I porti sono i terminali delle Zes e, potenziati con opportuni interventi infrastrutturali retroportuali, potrebbero dare un grandissimo contributo alla vocazione esportatrice delle imprese italiane. Sarà compito del nuovo sindaco di Napoli recepire queste opportunità, proponendo la città come sede del centro regionale del Mediterraneo dell’Emsa, l’Agenzia europea per la sicurezza marittima. Il paradosso di “un mare che non bagna Napoli” va superato se davvero si vogliono cogliere le opportunità della ripresa postpandemica.
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