VALENCIA – Mancano tre giorni al voto che deciderà le sorti della Spagna. Tre giorni in cui la polarizzazione aumenta, così come i dubbi di chi cerca di leggere dai sondaggi e dagli effetti dei dibattiti televisivi il futuro del Paese iberico. Calato il silenzio elettorale, le ultime inchieste sulle intenzioni di voto dei cittadini spagnoli appaiono chiare.

Il Partito popolare mantiene il primo posto nelle preferenze degli elettori, attestandosi quasi sempre oltre il 30 per cento dei consensi. Segue il Partito socialista del premier uscente Pedro Sanchez, che ha scommesso sul voto anticipato dopo il crollo delle elezioni amministrative confidando nel richiamo alle urne delle sinistre preoccupate dall’avanzata dell’onda blu popolare e di quella verde di Vox.

Quest’ultimo, il partito di destra radicale guidato da Santiago Abascal, lotta insieme alla coalizione di sinistra Sumar della vicepremier Yolanda Diaz per raggiungere il terzo posto. Entrambi i partiti agli estremi veleggiano intorno al 13 per cento dei consensi. E la quantità di seggi che saranno in grado di conquistare questi due movimenti sarà fondamentale per comprendere gli equilibri del prossimo governo spagnolo e anche per comprendere se ad andare alla Moncloa sarà il popolare Alberto Núñez Feijóo o il primo ministro socialista.

La campagna elettorale estiva arriva così alle sue battute finali e si incendia, con il partito di Abascal che catalizza su di sé l’attenzione dei media e dei rivali. I popolari – che hanno già inaugurato alcune esperienze di governo locale insieme a Vox – cercano di non consegnare alla destra radicale i temi cari al mondo conservatore, rassicurando allo stesso tempo sul non volersi lasciare schiacciare a livello ideologico, specie su alcuni punti che ormai il Pp considera di fatto intoccabili. Abascal nelle ultime ore è tornato anche ad agitare lo spettro catalano, paventando l’ipotesi che in caso di arrivo al governo di Vox – naturalmente in coalizione con il partito di Feijóo – il nazionalismo della regione di Barcellona possa tornare a ruggire dopo anni di stallo dovuti al fallimento del referendum secessionista e alla fine della leadership di quel blocco che aveva tentato di scindere la Catalogna dalla Spagna.

E mentre a sinistra in tanti richiamano l’attenzione sul pericolo di un partito post-franchista che andrebbe per la prima volta al governo dopo il ritorno della democrazia, andando anche a parlare di una lotta contro «l’anti-Spagna», a destra l’obiettivo numero uno delle critiche è proprio la figura di Sanchez. Il primo ministro spagnolo – diventato talmente centrale che il centrodestra ha coniato il termine «sanchismo» per descrivere negativamente la sua esperienza al governo – è accusato di essere un personaggio vago, poco concreto, troppo concentrato sulla sua figura e non in grado di gestire il Paese, alleato di partiti radicali e troppo accondiscendente verso i movimenti nazionalisti locali, da quelli catalani ai baschi.

La polarizzazione è dunque evidente. E le elezioni del 23-J, come le chiamano qui nel Paese iberico, rischiano di essere un laboratorio fondamentale per il futuro politico non solo spagnolo, ma anche dell’Europa in vista del voto per il prossimo Parlamento europeo. Come l’esperienza della Comunità valenciana, con l’alleanza tra Pp e Vox, può essere una cartina di tornasole per capire un eventuale equilibrio di governo a Madrid, così Madrid potrebbe di nuovo palesare il grande tema del rapporto tra popolari e conservatori in Europa.