Riceviamo dal Senatore Enrico Borghi (Italia Viva) e volentieri pubblichiamo.

Ci sono almeno tre livelli di riflessione, che conducono alla risposta sui motivi del clamoroso autogol di ieri con il quale Elly Schlein si è nuovamente messa alla rincorsa del populismo dei 5 Stelle.

La prima è quella, fin troppo banale e infantile, alla quale credono i propagandisti e gli ingenui. E cioè quella che “il nuovo Pd” -come ama autodefinirsi il gruppo dirigente che ha coronato l’operazione di occupazione del Nazareno – si rigeneri e recuperi una propria identità stando nelle piazze. Indifferente ai contenuti, prescindendo dalle piattaforme, Elly Schlein si fionda così in ogni “piazza” dove ritiene possa mettere in mostra le sue parole d’ordine -a metà strada tra il vendolismo di ritorno e il civatismo d’annata, con spruzzate di barchismo – fatte di “ricongiunzioni familiari” e di “giusto collegamento con la rappresentanza”. Da qui un tour sincopato e sincretico, nel quale il Pd non va nelle piazze ad esporre proposte – di cui non dispone – ma la contrario sussume e fa proprie le idee dell’interlocutore del momento. E così la linea in materia di diritti civili diventa quella delle famiglie arcobaleno della piazza di Milano, quella in materia di economica diventa quella della Cgil di Landini – pezzo forte del “ricongiungimento familiare” – quella della giustizia diventano gli striscioni di Firenze per Alfredo Cospito e via di questo passo, fino ad arrivare alla piazza romana di ieri. Si va nelle piazze degli altri, per dare l’impressione che la sinistra c’è. Anzi, finalmente c’è. E’ ritornata. Dentro uno schema tipicamente berlusconiano che fa della politica immagine e non sostanza, l’unica preoccupazione è mostrare fisicamente un supposto “ritorno” dopo gli anni di un presunto “tradimento”. In cosa si sostanzi il contenuto di questo “ritorno”, al di là dell’adesione veloce e abborracciata alla piattaforma di giornata altrui, ancora non è dato sapersi. Anche perchè i mitici organi del partito, quelli che dovevano dare corpo e vita al “partiamo da noi” non vengono coinvolti, e finanche neppure sentiti davanti a scelte importanti come quella di essere in piazza ieri a fianco di Conte.

La seconda lettura è un pò più politica. Per quanto ami atteggiarsi a novella Alice nel Paese delle Meraviglie, la segretaria del “nuovo Pd” non può non aver messo in conto l’effetto politico della sua scelta – repentina e spiazzante – di correre incontro all’abbraccio di Conte nell’afa romana di ieri. La presenza di Conte, Schlein e Fratoianni ieri, con la “benedizione” finale di Beppe Grillo, diventa la riedizione della “foto di Vasto”. L’idea che l’alternativa alla destra, in questo paese, sia da affidarsi ad una crasi tra la sinistra e il populismo, ieri insorgente oggi mutante. Ieri rappresentata la prima da Bersani (che però era segretario di un partito di centrosinistra) e da Vendola e il secondo da Di Pietro. Oggi incarnata su un trittico nel quale – e qui viene il punto politico – è il populismo a diventare il perno. Anzichè costruire una coalizione nella quale è il Pd il pilastro dell’alternativa attorno al quale si condensano sul piano programmatico le opposizioni, Elly Schlein si accoda ancillarmente ad una dimensione subalterna rispetto ad un Conte che ieri le ha fatto digerire una piattaforma che lucidamente è stata messa in fila da Davide Faraone in tutte le sue criticità: difesa del decreto dignità, no alle armi per l’Ucraina, difesa del reddito di cittadinanza, no all’abolizione del reato di abuso d’ufficio, sostegno alle tesi di “Ultima Generazione”, assenza totale di ogni riferimento all’immigrazione. (Sì erano queste le parole d’ordine di ieri a Roma, insieme l’enfasi sul 110%, contro la revisione proposta dal governo Draghi e votata a suo tempo in Parlamento dal Pd).

La generica e fumosa volontà di Elly Schlein di parlare “con tutte le opposizioni”, prescindendo dai contenuti e dalle proposte, ha prodotto il risultato di ieri. In politica non ci si unisce sul “volemose bene”, o sull’anti-qualcosa. In politica ci si unisce su valori e proposte, quando coincidono i primi e quando esistono le seconde. Altrimenti ci si ammucchia, alla rinfusa, dietro agli slogan. Con il risultato che si parte per tentare una nuova puntata della fiction “il nuovo ricongiungimento famigliare” e si finisce con l’aver applaudito ad un corteo che è finito attaccando l’Ucraina, gli Stati Uniti, la Nato, Israele, e nel quale si è fatta apologia di reato rievocando le “brigate” e i “passamontagna”.

La terza lettura è quella dadaista. E ciò che queste sono tutte fisime, e che in realtà tutti questi ragionamenti (figli di una politica vecchia, noiosa e démodé) la segretaria non se li è posti, nè deve porseli. L’importante è rimanere sulla cresta dell’onda comunicativa e immaginifica di una presunta purezza ideologica.

Se è cosi, allora spendo le ultime righe per un consiglio non richiesto a Franceschini, Boccia e Bettini: se davvero la nuova segretaria non aveva messo in conto le conseguenze politiche della comparsata romana di ieri, avete sbagliato i conti e dovete tornare in fretta a rammendare il vestito nuovo dell’imperatore che avete confezionato. Prima che sparisca del tutto…

Enrico Borghi

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