Da Carlo Calenda a Luigi de Magistris, partecipino tutti alle primarie del centrosinistra in vista delle elezioni amministrative. Parole di Francesco Boccia, responsabile degli enti locali del Partito democratico, sul Corsera di ieri. La proposta, che arriva nel giorno in cui il presidente della Camera Roberto Fico si ritira dalla corsa alla candidatura a sindaco di Napoli, ha il pregio di indicare un metodo generale e l’effetto di razionalizzare il dibattito: chi vuole si candidi alle primarie e, in caso di successo, tutti lo sostengano lealmente alle elezioni. La stessa proposta, però, suscita perplessità di metodo e di merito.

Le primarie all’italiana sono quasi sempre di coalizione e non escludono la possibilità che ci siano più candidati per un partito o che per alcune forze non ci sia alcun candidato. Del resto Boccia è stato chiaro: «Possono candidarsi tutti coloro che credono in un fronte ampio». In cosa “crede” chi si colloca in questo fronte ampio? Che si devono battere le destre, ovviamente. Ma il fronte immaginato da Boccia non è largo, bensì slabbrato e dilacerato. A Roma, per ipotesi, Calenda o il Pd dovrebbero accettare di sostenere Virginia Raggi, ammesso e non concesso che accetti di partecipare alle primarie, o il Movimento 5 Stelle dovrebbe supportare Calenda o Roberto Gualtieri. Ancora, il Pd potrebbe trovarsi a sostenere Alessandra Clemente a Napoli, in piena continuità con la giunta de Magistris, se non direttamente l’ex pm che ora punta alla presidenza della Calabria. Ha senso tutto questo?

Il metodo delle primarie suggerito da Boccia poteva valere 15 anni fa, con un sistema politico in via di rifondazione, fondato su attori nuovi o rinnovati; va decisamente meno bene per la “maionese impazzita” del centrosinistra di oggi, frutto di violenti terremoti come l’emersione del M5S o le fuoriuscite traumatiche dal Pd. Boccia è chiaro nell’affermare che «l’avversario è la destra», ma questo slogan si attaglia assai più al governo nazionale che alle amministrazioni locali, visto che nelle grandi città non ci sono giunte di destra.

Il Pd, in questi anni, ha combattuto altre forze nelle quattro metropoli che vanno al voto. È vero, le primarie sono sempre scontri tra diverse anime, ma qui saremmo al ribaltamento delle linee e concreto sarebbe il rischio del disorientamento degli elettori. Non è un caso, in fondo, che le primarie all’estero si svolgano all’interno dei partiti e non al di fuori. Così il valore aggiunto di una competizione partecipata si sposa con un quadro di valori di fondo condivisi. Quale programma esprime tenere lontana la destra da amministrazioni per lo più disastrate che negli ultimi anni sono state governate da altri? Per opporsi pregiudizialmente alla destra, l’unico effetto certo sarebbe l’abbraccio mortale con i giustizialisti e i populisti che hanno “sgovernato” Roma, Torino e Napoli in questi anni.

La proposta di Boccia trascura l’identità e non parla all’orgoglio di tanti militanti, elettori e amministratori locali del Pd. Per costoro prima di tutto viene la coerenza del loro impegno. È poco comprensibile che, in nome della paura della destra, si debba accettare il dileggio e l’offesa da parte di un personale politico rozzo e aggressivo di cui si fa quotidianamente esperienza. O che si debba “vendere l’anima al diavolo”, disconoscendo valori sacrosanti come riformismo e garantismo e cambiando opinione su fatti e persone (vedi de Magistris) ogni quarto d’ora. Non c’è alternativa: i nodi delle candidature vanno sciolti uno a uno, tentando di salvaguardare quei principi non negoziabili che non possono essere azzerati dalla paura dell’avversario.