Nemmeno il tempo di postare sui social la foto di gruppo nel bar di Posillipo e di gongolare per i titoli sulle prime pagine dei giornali, che per i firmatari del “patto del caffè” arriva la doccia fredda: Gaetano Manfredi rinuncia alla candidatura a sindaco di Napoli con i colori di Partito democratico e Movimento Cinque Stelle. L’ex ministro lo comunica attraverso una lettera in cui denuncia il mancato sostegno dell’intera coalizione di centrosinistra e le disperate condizioni economico-finanziarie di Palazzo San Giacomo.

«In ballo non ci sono tatticismi politici, guerre di posizione e carriere personali, che francamente mi provocano anche una certa inquietudine. In ballo c’è il futuro della città», chiarisce Manfredi dopo aver sollecitato «un patto fra tutti coloro che vogliono bene a Napoli: imprenditori, civici, rappresentanti delle associazioni e del mondo del lavoro».
L’ex rettore della Federico II, dunque, pone due tipi di questioni. La prima è di carattere politico ed emerge nel momento in cui Manfredi stigmatizza i vuoti riti e le stanche liturgie che da settimane agitano il Pd non solo a Napoli, ma anche a Roma,  Bologna, Milano, Torino e in tutte le città che a ottobre andranno al voto.

Insomma, quello che tutti davano come candidato sindaco del campo progressista sembra non sentirsi sufficientemente garantito dall’accordo tra Pd e M5S che da mesi offrono agli elettori una pessima prova di sé. Non gli basta nemmeno il “patto del caffè” che, a dispetto di quanto fatto trapelare dai vertici locali di democrat e grillini, non è stato accolto di buon grado dalle altre forze del centrosinistra napoletano e forse nemmeno dallo stesso governatore Vincenzo De Luca.

In secondo luogo, poi, Manfredi, pone una questione amministrativa nel momento in cui ricorda che «la capacità di spesa corrente è azzerata», che il Comune è «di fatto in dissesto» e che «soltanto un intervento legislativo di riequilibrio, basato su uno stralcio del debito con un commissario straordinario come fatto per Roma e un piano
straordinario di investimenti nazionali e regionali, può garantire alla città un futuro di sviluppo». Il che equivale a dire: non servono generiche rassicurazioni sull’approvazione di una norma salva-Comuni, dopo che la Corte Costituzionale ha escluso la possibilità di “spalmare” il deficit extra delle amministrazioni nell’arco di 30 anni; è indispensabile cancellare parte del debito. Manfredi, tuttavia, sembra lasciare uno spiraglio aperto nel momento in cui sollecita «un patto fra tutti coloro che vogliono bene a Napoli» e chiarisce come alla città serva una giunta comunale «di altissimo profilo e con le mani libere».

Lo scenario politico all’interno del campo progressista, dunque, è praticamente capovolto: se col “patto del caffè” erano Pd e M5S ad andare in pressing su Manfredi affinché accettasse la candidatura a sindaco, ora è l’ex ministro a mettere alla berlina dem e grillini le cui rassicurazioni sulla solidità dell’alleanza e sulla norma salva-Napoli sono apparse evidentemente insufficienti. Ora che cosa succederà? Tornerà di moda il nome del sottosegretario Enzo Amendola, visto che ieri l’altro “papabile” Roberto Fico si è affrettato a condividere le esternazioni di Manfredi? Chissà. Certo è che il centrosinistra è più che mai in confusione e che questo stesso caos non fa il bene di Napoli.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.