La triade – sultano, zar, ayatollah – aggiorna il suo “patto”. Smentendo clamorosamente, farlocca, l’immagine di un sultano “occidentalizzato” pronto a sostenere le ragioni del mondo libero contro lo zar sanguinario che ha mosso guerra all’Ucraina. Folgorato sulla via di Ankara, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, alla guida di una folta delegazione di ministri partecipi del vertice intergovernativo con la Turchia (5 luglio, il primo degli ultimi dieci anni), ha tessuto le lodi di quello che solo un anno prima aveva definito un “dittatore”, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, innalzandolo a partner, amico, interlocutore fondamentale per la stabilizzazione del Mediterraneo e altro ancora.

Naturalmente, con questo nuovo amico e partner affidabile, neanche un cenno alle carceri turche piene zeppe di giornalisti/e indipendenti, attivisti/e dei diritti umani, avvocati/e, parlamentari (curdi) eletti in libere elezioni salvo poi essere arrestati con l’accusa di minare la sicurezza dello Stato. Un feroce Stato di polizia. Quanto poi alla pulizia etnica messa in atto dalle forze armate turche, e dalle milizie stupratrici al loro seguito, nel Rojava siriano (non è anche questa un’invasione di uno Stato sovrano, per quanto in macerie?), manco a parlarne. L’Erdogan “occidentalizzato” è durato il tempo di una stretta di mano e di una photo opportunity con la compiaciuta delegazione italiana. Dopodiché, il sultano è tornato a essere quello che è sempre stato: un autocrate che sa destreggiarsi su più tavoli, come ha dimostrato il recente vertice Nato di Madrid. Ora è tempo di guardare altrove. I presidenti di Russia, Turchia e Iran si incontreranno la prossima settimana a Teheran per un vertice sulla Siria e per colloqui bilaterali nel contesto del conflitto in Ucraina. Lo ha annunciato il Cremlino.

«Si sta preparando il viaggio del presidente Vladimir Putin in Iran il 19 luglio», ha dichiarato ai giornalisti il portavoce Dmitry Peskov, aggiungendo che ci sarà un incontro sulla Siria con il suo omologo iraniano Ebrahim Raisi e con quello turco Recep Tayyip Erdogan, oltre a un incontro bilaterale con quest’ultimo. Sul bilaterale, Peskov non ha fornito dettagli, ma è ragionevole ritenere che sarà l’ “operazione militare speciale” in Ucraina a tenere banco e in particolare la trattativa sull’esportazione del grano ucraino. «È giunto il momento di agire per attuare il piano per la creazione di corridoi per l’esportazione del grano ucraino», avrebbe detto il presidente turco nel corso della conversazione telefonica con il suo omologo russo, avvenuta lunedì scorso. Stando alla presidenza turca, i due leader «hanno discusso della situazione in Siria, della situazione in Ucraina alla luce delle operazioni militari russe, della creazione di corridoi sicuri per l’esportazione di grano dal Mar Nero». Erdogan poi avrebbe ribadito a Putin che la Turchia è pronta a «dare ogni possibile contributo per intensificare il processo negoziale tra Mosca e Kiev» e che il conflitto deve terminare con una “pace giusta e duratura”.

Quello che sarà messo a punto il 19 luglio è un patto a tre aggiornato e ampliato. Che va dalla Libia alla Siria, passando per il Caucaso. Il patto delle “tre G”: grano, gas, geopolitica. Una riprova: Putin su invito di Erdogan ha partecipato nei mesi scorsi, prima dell’inizio dell’“operazione militare” in Ucraina all’inaugurazione del gasdotto Turkish Stream, l’infrastruttura che una volta completata potrà trasportare, ritorsioni permettendo, 15,7 miliardi di metri cubi di gas russo ogni anno attraverso due diversi canali, uno destinato a rifornire la Turchia (attivo dal 2020 ma non a pieno regime), un secondo destinato all’Europa. La russa Rosatom sta costruendo la centrale nucleare di Akkuyu, sulla costa Sud. Se la “battaglia del grano” è ancora aperta, quella del gas ha già un vincitore, almeno sul “fronte italiano”: Erdogan. Attualmente dalla Turchia passano i 1840 chilometri della Trans adriatic pipeline, che collegano l’Azerbaigian al Tap che dalla Grecia porta il gas in Puglia: al momento è tra le principali vie di approvvigionamento energetico dell’Italia. Come avvertiva la relazione annuale del nostro dipartimento per la sicurezza, la Turchia «ambisce a diventare il principale hub di passaggio di gas verso l’Europa».

Tanto più dopo la decisione di Mosca di tagliare le forniture di gas all’Italia. Da lunedì scorso, la Russia ha ridotto di un terzo le forniture all’Italia rispetto alla media degli ultimi giorni. Lo comunica Eni che in una nota spiega: «Gazprom ha comunicato che per la giornata di oggi fornirà a Eni volumi di gas pari a circa 21 milioni di metri cubi al giorno, rispetto a una media degli ultimi giorni pari a circa 32 milioni di metri cubi al giorno. La media di 32 milioni di metri cubi al giorno era già significativamente inferiore rispetto a quella precedente all’emergenza gas, da giugno in poi i flussi di gas che dalla Russia arrivano al Tarvisio attraversando anche l’Ucraina sono stati abbassati di circa la metà. L’Italia e l’Europa si stanno avvicinando sempre più verso una “crisi energetica gravissima», come è stata definita da Roberto Garofoli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Secondo Garofoli «abbiamo 16 miliardi di metri cubi di stoccaggio a fronte dei 70 che consumiamo. Dobbiamo arrivare al 90% prima che inizi l’autunno». E così per non rimanere alla “canna del gas” russo, eccoci costretti a bussare alla porta di paesi retti da regimi che definire liberticidi è un eufemismo: Turchia, Algeria, Egitto.

Venerdì scorso il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha prospettato il rischio di una recessione nel nostro paese qualora il gas russo dovesse essere completamente interrotto. Dal gas alla geopolitica. In Libia da tempo è in atto la spartizione della “Torta petrolifera” tra Turchia e Russia. Altro che stabilizzazione: assieme a Putin, Erdogan è tra gli attori esterni che più destabilizzano la Libia, finanziando e armano milizie locali, spacciate per eserciti nazionali, utilizzando per i lavori più sporchi mercenari jihadisti macchiatisi dei peggiori crimini – uccisioni di civili, stupri di massa, saccheggio etc. – in Siria, spostati poi dal sultano sul fronte libico.
A guardare con dichiarata diffidenza al vertice di Teheran è Washington. Secondo l’amministrazione Usa l’Iran si prepara a consegnare “centinaia di droni” alla Russia. L’annuncio è arrivato dopo che il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, ha affermato che Mosca si sarebbe rivolta a Teheran per ottenere “centinaia” di droni, compresi velivoli da attacco, da utilizzare nell’invasione dell’Ucraina. Teheran nega la notizia. «La storia della cooperazione tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Federazione Russa nel campo di alcune nuove tecnologie – ha detto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Naser Kanani – risale a prima dell’inizio della guerra in Ucraina e recentemente non ci sono stati sviluppi speciali in questa relazione».

L’asse russo-turco ha retto anche alla prova del decennale conflitto tra Armenia e Azerbaigian in Nagorno Karabakh. Annota in proposito Giuseppe Didonna in un dettagliato report per Agi: «L’Azerbaigian è un Paese satellite della Turchia, la Russia da sempre vicina all’Armenia, che per Mosca rimane importante per difendere i propri interessi e confini nel Caucaso meridionale. Nonostante le premesse non certo favorevoli Erdogan e Putin hanno sfruttato l’enorme influenza dei propri Paesi sulle parti del conflitto, imposto una tregua e spinto a una soluzione politica che ha permesso di fermare le ostilità. Relazioni negli ultimi anni eccellenti, quelle tra Erdogan e Putin, eppure basta fare un piccolo passo indietro, al 25 novembre 2015, per trovare la più grossa crisi diplomatica nella storia delle relazioni Russia-Turchia, un pesantissimo scambio di accuse e minacce durato i mesi che seguirono l’abbattimento di un jet russo al confine siriano da parte dell’esercito di Ankara. La ricomposizione, che pareva impossibile, avvenne perché Erdogan fu capace di mettere l’orgoglio (che di certo non gli fa difetto) da parte e chiedere scusa.

Fu come ammettere che la Turchia non può fare a meno della Russia e a Putin bastò, i rapporti tra i due Paesi resistettero alla dura prova dell’omicidio dell’ambasciatore russo Andrej Karlov ad Ankara e gradualmente decollarono con i due governi che nel tempo hanno poi concluso accordi su tutto: difesa, energia, commercio e intese strategiche e militari. Intese importanti, costruite nonostante premesse tutto meno che favorevoli; un passato recente che alimenta in Erdogan la speranza che l’incontro tra Lavrov e Kuleba possa avere un esito positivo, riporti la pace nell’area e limiti le ricadute economiche per la Turchia in crisi, stimate al momento intorno ai 50 miliardi di dollari». Così l’analista di Agi. Questo legame non è stato inclinato neanche un po’ dalla guerra in Ucraina.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.