Il Consiglio europeo riunito ieri a Bruxelles, a quattro mesi da quel 24 febbraio che ha segnato l’inizio della guerra in Ucraina, non poteva che essere un summit di Difesa. Ormai tutte le riunioni internazionali, quale che sia l’ordine del giorno, presto o tardi diventano vertici sulla Russia. Il ritorno prepotente della guerra al centro dell’Europa scuote i governi e chiama i massimi rappresentanti degli Stati membri a muoversi con decisione su tre fronti aperti. Tutti urgenti: l’allargamento Ue a Est, la politica energetica sul gas e le contromisure per la crisi economica in arrivo. Mario Draghi non arriva a Bruxelles per assistere ai lavori.

L’idea di Draghi è chiara: più forte delle sanzioni già in corso per la Russia di Putin può funzionare un contro-dazio, un price-cap che stabilisca un tetto al costo del gas, riconosciuto ormai quale leva di ricatto di Mosca sui 27. Anche se il Consiglio europeo non ha potere normativo diretto, perché non può adottare leggi ad eccezione di eventuali modifiche del trattato Ue, suo è l’indirizzo politico. E Draghi vuole trainare, convincere i partner che quella è la strada maestra. Non è in discesa. Serve un nuovo Recovery plan sull’energia. Serve a Italia, Grecia e Spagna. Ma anche alla Germania. Draghi arriva al vertice e appena entra negli uffici della Delegazione italiana, invita il presidente francese – presidente di turno dei Ventisette – a raggiungerlo. Macron e Draghi si chiudono in un bilaterale. Un incontro concordato, per quanto rapido: mezz’ora e possono iniziare i lavori congiunti. Il tetto al gas e lo status di candidato per l’Ucraina sono i due milestone insindacabili su cui l’Italia impegna i partner. Il viaggio in treno di Draghi, Macron e Scholz è di una settimana fa. Ma in tempi di guerra, le settimane sono secoli.

Adesso gli sguardi dei tre si soffermano sulle delegazioni dei partner minacciati da Putin. C’è la delegazione lituana che viene chiamata dall’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell, a margine della plenaria. Al termine, un comunicato informa che la Commissione Europea “rivedrà” le linee guida sulle sanzioni Ue, seguendo le quali la Lituania ha ostacolato il traffico merci tra la Russia e l’oblast di Kaliningrad, causando la reazione minacciosa di Mosca. E c’è la Finlandia. Il capo dell’esercito di Helsinki alla vigilia del vertice ha risposto a Mosca di essere pronto a fronteggiare ogni attacco. Il negoziato con la Nato è aperto, se la Turchia non si mette troppo di traverso. Riposizionamenti, allargamenti, inclusioni sono al centro della giornata. Per l’Ucraina, una autostrada spianata, anche se l’iter rimane di qualche anno.

La presidente del Parlamento europeo apre le danze portando per mano Ucraina e Moldavia in seno alla futura Unione. È una decisione giustificata, necessaria, possibile e per la quale sono lieta di vedere il consenso attorno a questo tavolo. Oggi è un giorno storico”, ha sottolineato Roberta Metsola nel suo discorso di apertura. L’Albania, da Tirana, fa arrivare la sua protesta. Attendono da vent’anni. E così la Bosnia-Erzegovina. Slovenia e Austria non bloccheranno il riconoscimento dello status di candidato all’Ucraina, ma “cio’ non significa che non sosterremo che anche la Bosnia-Erzegovina ottenga tale status. Se necessario, insisteremo fino al mattino”, ha detto il premier sloveno, Robert Golob. Per l’Europa è una crisi di crescita. E benvenga. Ma c’è il problema del gas, senza il quale altroché crescita. Il tetto deve essere approvato entro oggi. Ed è già stato deliberato il meccanismo dell’acquisito congiunto da parte di due o più paesi, misura che potrebbe interessare l’Italia. “La Commissione può, se necessario, emanare orientamenti per l’applicazione di un meccanismo volontario di acquisizione congiunta di gas naturale. Il meccanismo può essere attivato da due o più Stati membri, su base volontaria”, è stato deciso. La Norvegia, che non fa parte dei Ventisette, viene molto celebrata: ha firmato ieri un protocollo con cui si impegna a vendere all’Ue tutta la sua disponibilità di gas e petrolio.

I leader dell’Unione europea e dei sei paesi terzi dei Balcani occidentali (Montenegro e Serbia che hanno già aperto i negoziati di adesione, Albania e Macedonia del Nord con lo status di candidati, e Bosnia-Herzegovina e Kosovo non ancora candidati) hanno discusso per quasi quattro ore a Bruxelles, due più del previsto, del fronte di crisi e delle modalità per rafforzare le relazioni reciproche. Non sembra tuttavia che siano stati fatti i passi avanti che si speravano per rilanciare il processo di allargamento. Non è stato possibile, in particolare, indicare una prospettiva certa per l’apertura dei negoziati d’adesione con l’Albania e la Macedonia del Nord, che resta bloccata dal veto della Bulgaria. Secondo fonti Ue qualificate, “l’incontro ha ribadito in modo chiaro e inequivocabile la prospettiva europea dei Balcani occidentali e il futuro della regione nell’Unione europea”. Secondo le fonti dell’Ue, “il processo di integrazione deve essere rafforzato” offrendo “vantaggi socioeconomici concreti ai partner dei Balcani occidentali già durante i negoziati di adesione”, proponendo di “integrarli gradualmente nei lavori dell’Ue, man mano che attuano l’’acquis’ comunitario in ciascun settore”, e “completando la liberalizzazione dei visti per la regione”.

È tuttavia “urgente”, hanno rilevato le fonti Ue, compiere “progressi sulle controversie bilaterali e regionali”, e in particolare: 1) “normalizzare le relazioni tra Kosovo e Serbia, attraverso il dialogo Belgrado-Pristina”, 2) “aiutare la Bosnia-Erzegovina ad avanzare nel suo percorso verso lo status di candidato e l’Ue, basandosi sull’accordo politico dei leader del Paese” che era stato promosso recentemente dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Durante l’incontro, i leader dei Balcani occidentali hanno discusso insieme ai Ventisette la nuova proposta della “Comunità politica europea”, promossa inizialmente dalla Francia e volta a creare una piattaforma politica tra i paesi partecipanti in tutto il Continente, come complemento e non come alternativa al processo di allargamento. C’è anche un Piano economico dell’Ue per i Balcani occidentali, che fornirà fino a 30 miliardi di euro di investimenti per aiutare la regione nella ripresa economica e nella convergenza con l’Ue, e per sostenere progetti strategici che migliorano la connettività e la resilienza della regione. Il primo pacchetto di 21 progetti-faro, per un valore di oltre 3 miliardi di euro, è già stato lanciato all’inizio di quest’anno.

I Balcani potrebbero tornare ad essere la chiave di volta per una Europa che cerca di riconquistare una stabilità minacciata. E Roma torna ad essere l’osservatorio privilegiato anche su quel quadrante. Ma è sulla politica italiana che si riverberano i fari del vertice europeo. Il segretario Pd Enrico Letta vuole mettere il cappello sulle mosse di Draghi: “La concessione all’Ucraina dello status di candidato all’adesione all’Ue, una scelta che sarà approvata dal Consiglio europeo a Bruxelles, è ovviamente una scelta di campo molto importante un messaggio fortissimo che diamo a livello globale. Ed è anche un messaggio molto forte a Putin”. Il leader di Italia viva, Matteo Renzi, era a Bruxelles con “gli amici di Renew Europe”, per un evento collaterale. Pubblicando le foto di un rivelatorio abbraccio con Macron, Renzi rilancia l’asse del nuovo centro: “Sconfiggere populisti e sovranisti è possibile. Il tempo sta dimostrando che le nostre idee sono vincenti. Al lavoro, insieme, in Italia e in Europa”. Sandro Gozi, che coordina Renew Europe, lancia la sua ricetta europea per un centro riformista: “Federare le forze che vogliono riformare sulla base dell’agenda Draghi. Federare le forze che vogliono una riforma della giustizia, che vogliono un’Europa federale, con un’Italia al centro della politica europea e atlantica”.

Forza Italia con Licia Ronzulli, vicepresidente del gruppo azzurro in Senato, guarda al ritorno in patria della delegazione del governo: “La cosa più urgente da fare è porre un tetto al prezzo del gas. Una discussione su questo è già intavolata in Ue, ma purtroppo sembra ci sia una fase di stallo che mi auguro si sbloccherà velocemente. E un’altra cosa da fare è un nuovo Recovery Plan sulla scorta di quanto fatto dall’Europa per rispondere all’emergenza Covid. Ne serve uno ad hoc anche per superare la crisi energetica”. Da Bruxelles, i leader hanno speso un minuto di informale silenzio quando hanno consultato sui telefonini l’ultim’ora proveniente da Washington. La Corte Suprema boccia la legge dello Stato di New York che contrasta la libera vendita delle armi. “Sono profondamente deluso – ha detto il presidente americano Biden – questa sentenza contraddice sia il senso comune che la Costituzione e dovrebbe preoccupare molto tutti noi”. Una intemerata durissima e inusuale, inedita da parte di un Presidente americano verso l’Alta corte. “Dobbiamo come società fare di più e non di meno per proteggere i nostri cittadini”. Non con le armi, ma dalle armi. Armi che comunque Biden promette di inviare ancora a Kiev, proprio durante il vertice.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.