(Parte seconda)

Dopo avere preso in considerazione le proposte della Commissione sulle cosiddette “situazioni di strumentalizzazione dei migranti” (vedi l’edizione del 30/12/21) esaminiamo dunque in questa seconda parte la proposta di Regolamento COM 2021 (891 final) con la quale la Commissione propone una revisione del Codice Frontiere Schengen ovvero del Regolamento (EU) 2016/399. Ad avviso della Commissione «negli ultimi anni, lo spazio Schengen è stato oggetto di sfide senza precedenti, che per loro natura non erano limitate al territorio di un singolo Stato membro».

La Commissione ritiene che vi siano delle «lacune delle norme esistenti che disciplinano il funzionamento dello spazio Schengen sia alle frontiere esterne che a quelle interne e [propone] di creare un quadro più forte e solido che consenta una risposta più efficace alle sfide che lo spazio Schengen deve affrontare». Le principali proposte avanzate dalla Commissione riguardano proprio l’ambito più delicato della tenuta del sistema Schengen, quello delle frontiere interne e avanza un primo gruppo di misure collegandole alla pandemia di Covid-19 con il ragionevole obiettivo di evitare che si ripeta in futuro l’attuale scomposto muoversi da parte dei singoli Stati con misure non sempre giustificate dall’obiettivo reale di contrastare l’epidemia bensì legate a volubili interessi politici. Propone dunque che «il Consiglio, sulla base di una proposta della Commissione, [possa] adottare un regolamento di applicazione che prevede restrizioni temporanee ai viaggi negli Stati membri» individuando le aree geografiche sulla base di “ metodologie e criteri oggettivi”.

Introdurre delle integrazioni all’attuale Codice frontiere Schengen per gestire meglio il possibile riproporsi di emergenze sanitarie è pienamente condivisibile ma la Commissione coglie l’occasione per accostare al tema della pandemia un altro campo di suo ben maggiore interesse affermando perentoriamente, pur senza mai motivarne la ragione, che «per rafforzare il funzionamento dello spazio Schengen, gli Stati membri dovrebbero poter adottare misure supplementari per contrastare i movimenti irregolari tra Stati membri e combattere i soggiorni illegali». In che modo farlo è presto detto: «quando le autorità nazionali incaricate dell’applicazione della legge di uno Stato membro fermano cittadini di paesi terzi in soggiorno illegale alle frontiere interne nell’ambito della cooperazione operativa di polizia transfrontaliera, tali autorità dovrebbero avere la possibilità di rifiutare a tali persone il diritto di entrare o rimanere nel loro territorio e di trasferirle nello Stato membro da cui sono entrate». Le riammissioni si applicherebbero «al fermo di un cittadino di un paese terzo in prossimità delle frontiere interne» in particolare se l’operazione è avvenuta “durante pattugliamenti congiunti di polizia”. La Commissione punta quindi a una vera e propria rinascita degli accordi di riammissioni tra Stati UE quali strumenti ordinari, anzi privilegiati, per individuare, alle frontiere interne, gli stranieri in posizione irregolare e, dopo avere loro notificato la decisione, rinviarli, con procedura immediatamente esecutiva, nello stato membro da cui provenivano che dovrebbe occuparsi del loro rimpatrio.

Nell’evoluzione del diritto europeo le riammissioni degli stranieri irregolari tra Stati membri confinanti erano divenute residuali perché non coerenti con il percorso di eliminazione delle frontiere interne e con la libera circolazione nello spazio comune; già la Direttiva 2008/115/CE (Direttiva Rimpatri), tuttora vigente (e che la Commissione vuole infatti modificare) salva infatti gli accordi di riammissione tra Stati solo se precedenti al 2008; nell’ottica della costruzione della casa comune europea priva di frontiere interne non ha rilevanza che la persona straniera in condizioni di soggiorno irregolare venga fermata all’interno del territorio di uno Stato membro o nei pressi di una sua frontiera interna perché vanno applicate comunque, in ogni luogo, le medesime disposizioni, attuando, se necessario, l’espulsione dal comune spazio europeo, fatte salve le garanzie previste dalla stessa Direttiva Rimpatri e il rispetto dei diritti fondamentali, e in particolare il diritto d’asilo. Ritorno delle riammissioni e mantenimento della libera circolazione alle frontiere interne sono, con evidenza, strade tra loro alternative che rispecchiano visioni politiche e culturali antitetiche.

Puntare, come fa l’attuale Commissione, a individuare nelle riammissioni il nuovo e insieme vecchio strumento su cui puntare per contrastare i cosiddetti movimenti secondari degli irregolari significa proporre surrettiziamente il ritorno delle frontiere interne. Eppure la libera circolazione dentro la UE è stata un’enorme conquista storica oggi considerata da tutti come irrinunciabile. In materia la Corte di Giustizia dell’UE si è più volte pronunciata ritenendo incompatibile con il vigente diritto dell’Unione alcune normative nazionali che autorizzavano un largo uso dei controlli alla frontiera interna allo scopo di prevenire o impedire l’ingresso o il soggiorno irregolari degli stranieri nel territorio di uno Stato membro se tali norme producevano, in concreto, un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera. Oggi la Commissione propone quindi nientemeno che una drastica retromarcia nell’evoluzione del diritto dell’Unione (e quindi di tutta la nostra storia recente) proponendo che «l’esercizio da parte delle autorità competenti delle loro competenze non può, in particolare, essere considerato equivalente all’esercizio delle verifiche di frontiera quando le misure [….] mirano, in particolare, a […] combattere il soggiorno o la permanenza irregolare legati alla migrazione irregolare.

La Commissione progressivamente si inabissa in un triste contorsionismo logico, i cui dettagli risparmio al lettore, tra la volontà di attuare controlli che si vorrebbero di fatto sistematici e continui alle frontiere interne per individuare gli stranieri irregolari, anche ricorrendo in modo massiccio “a tecnologie di monitoraggio e sorveglianza”, e nello stesso tempo il tentativo di non attuare, alle stesse frontiere interne, controlli con caratteristiche di continuità e sistematicità tali da ostacolare il principio della libera circolazione. Una sintesi impossibile tra un obiettivo e il suo contrario. La temeraria rinascita delle riammissioni riguarderebbe anche gli stranieri che chiedono asilo? Proprio sul punto più delicato e scivoloso il testo proposto dalla Commissione tace del tutto. Nessun accordo di riammissione è possibile nei confronti di uno straniero che chiede asilo perché la sua domanda va registrata subito, al confine o nel territorio dello stato membro nel quale viene manifestata la richiesta di protezione, e l’individuazione dello Stato competente a esaminare la domanda di asilo, se diverso da quello in cui la domanda è stata fatta, è di competenza di un’apposita normativa, il Regolamento Dublino III oggetto anch’esso di molte tormentate proposte di riforma.

Da tempo il piano della legalità è però già stato violato, e in modo sistematico, da molti stati dell’Unione, tra cui l’Italia, che hanno usato a mani basse lo strumento delle riammissioni, persino quando non esistevano neppure accordi inter-statali a copertura di tali prassi, proprio con lo scopo di liberarsi dei richiedenti asilo e scaricarli allo stato membro vicino; lo hanno fatto a volte in (parziale) contrasto tra loro, come nel caso Francia-Italia; altre volte invece in piena sintonia, attuando riammissioni illegali “a catena” come nel caso Italia (e Austria) – Slovenia – Croazia, così che tutti gli stati coinvolti, in sodalizio illegale tra loro, si liberavano dei rifugiati respingendoli fuori dall’Unione (Bosnia). Al confine italiano le riammissioni illegali sono state bloccate ma continua l’operato di “pattuglie di polizia miste italo-slovene” dal mandato opaco. Non è quindi per nulla azzardato ritenere che scopo precipuo, anche se nascosto, della proposta di rinascita delle riammissioni sia proprio quello di aiutare gli Stati a disfarsi dei richiedenti asilo facendo in modo che essi, riammessi/respinti di confine in confine non accedano mai alla procedura di richiesta di protezione internazionale in nessuno stato dell’Unione.

Infine nella parte della propria proposta destinata a una nuova regolazione del temporaneo ripristino effettivo delle frontiere interne la Commissione insiste sul fatto che tali misure, se assunte dai singoli Stati, vengano considerate quale “ultima istanza” e tenta una forte riduzione dei tempi massimi di chiusura che gli Stati possono attuare in autonomia, vincolando maggiormente gli Stati a motivare e impone tempi e modalità di notifica. La Commissione propone infine di rafforzare le sue competenze prevedendo che in caso di “minaccia grave per la sicurezza interna o l’ordine pubblico [che] colpisce la maggioranza degli Stati membri, mettendo a repentaglio il funzionamento globale dello spazio senza frontiere interne” essa stessa possa “presentare al Consiglio una proposta per l’adozione di una decisione di esecuzione che autorizzi il ripristino dei controlli di frontiera da parte degli Stati membri.” Si può intravedere in queste proposte l’intenzione di circoscrivere le ipotesi di ripristino delle frontiere interne a casi veramente eccezionali e dunque contenere una tendenza disgregativa che negli ultimi anni ha assunto connotati assai pericolosi.

Tuttavia il tentativo mi sembra debole e poco credibile perché nello stesso tempo la Commissione considera motivo sufficiente per il ripristino autonomo dei controlli alle proprie frontiere interne da parte di uno Stato “ una situazione caratterizzata da movimenti non autorizzati su vasta scala di cittadini di paesi terzi tra gli Stati membri, che mette a rischio il funzionamento globale dello spazio senza controllo alle frontiere interne” usando una formulazione vaga ma utile a essere usata pressoché a piacimento dai singoli Stati. La Commissione dovrebbe interrogarsi sulle ragioni dei forti movimenti degli stranieri (sia quelli irregolari che di quelli regolari ma il cui diritto al soggiorno vale in un solo stato) tra i diversi paesi dell’Unione e semmai porsi l’obiettivo di come iniziare ad armonizzare le divergenti politiche di ingresso e soggiorno nonché gli standard di accoglienza ed integrazione. Invece nulla di tutto ciò è nel suo orizzonte mentre il contrasto ai movimenti degli stranieri rimane l’unica ossessione da inseguire. A qualunque costo.

2 – Fine (la prima parte è stata pubblicata sull’edizione del 30 dicembre 2021)