Il 14 dicembre 2021 la Commissione UE ha depositato contemporaneamente due proposte di riforma normative annunciando l’intenzione di “rinforzare la governance dello spazio Schengen”. Il primo testo (COM 2021 891 final) consiste in una proposta di modifica dell’attuale Regolamento 2016/399 ovvero il Codice Schengen, uno dei pilastri dell’assetto attuale della vita sociale e politica dell’Unione. Secondo la Commissione le nuove regole «mirano a garantire che la reintroduzione dei controlli alle frontiere interne rimanga una misura di ultima istanza» nonché a creare «strumenti comuni per gestire più efficacemente le frontiere esterne in caso di crisi di salute pubblica, utilizzando le lezioni apprese dalla pandemia COVID-19».

Con il secondo testo (COM 2021 890 final) la Commissione propone invece di introdurre un Regolamento del tutto nuovo finalizzato a «gestire efficacemente le frontiere esterne dell’UE nel caso in cui i migranti siano usati per scopi politici». Se entrambe le proposte di Regolamento fossero approvate, gli effetti in materia di libera circolazione, diritti fondamentali e diritto d’asilo nell’Unione sarebbero enormi e, ad avviso di chi scrive, profondamente negativi, tanto da configurare un’Europa diversa e assai peggiore di quella attuale. Le notizie comparse sulla stampa italiana sono state finora poche e piuttosto confuse e quindi tenterò di fornire al lettore alcuni strumenti di analisi che consentano una lettura più attenta. Inizierò dalla proposta della Commissione relativa alla “situazione di strumentalizzazione dei migranti”, rinviando a un secondo articolo l’analisi delle proposte di riforma del Codice Schengen.

La “situazione di strumentalizzazione dei migranti” è definita nella proposta della Commissione come «una situazione in cui un paese terzo istiga flussi migratori irregolari verso l’Unione incoraggiando attivamente o facilitando lo spostamento di cittadini di paesi terzi verso le frontiere esterne, verso o dall’interno del suo territorio e poi verso tali frontiere esterne, quando tali azioni sono indicative dell’intenzione di un paese terzo di destabilizzare l’Unione o uno Stato membro, quando la natura di tali azioni può mettere a rischio funzioni essenziali dello Stato, compresa l’integrità territoriale, il mantenimento dell’ordine pubblico o la salvaguardia della sua sicurezza nazionale». Si può agevolmente vedere come la sopraccitata definizione, dai contorni alquanto indefiniti, abbia una natura politica o sociologica non idonea a circoscrivere una fattispecie normativa perché priva del requisito di tassatività, ovvero di quella chiara definizione e delimitazione concettuale che deve stare alla base di qualunque norma.

Una situazione politica nella quale dei cittadini di paesi terzi vengano spinti da un paese terzo ad entrare nella UE allo scopo di destabilizzazione politica è certo uno scenario socio-politico che il Legislatore europeo può considerare nuovo e pericoloso ma se, oltre al piano dell’azione diplomatica, intende agire anche su modifiche normative in materia di diritti fondamentali deve individuare fattispecie giuridiche precise e oggettive, a partire dalla distinzione tra le condizioni giuridiche soggettive diverse tra rifugiati e migranti per altre ragioni e all’esistenza, ad esempio, di un numero di domande di asilo estremamente elevato in rapporto al Paese in cui l’evento si verifica e al periodo temporale considerato, oppure ancora il fatto che le domande di asilo in un dato contesto siano tutte o quasi presentate da cittadini di uno o più Paesi terzi il cui tasso di riconoscimento delle domande di protezione è molto basso. Nel tentare in ogni modo di introdurre la nuova indefinita nozione di situazione di strumentalizzazione dei migranti la Commissione invece non fa mai riferimenti né a numeri elevati né alla condizione giuridica delle persone coinvolte/strumentalizzate le quali scompaiono dall’orizzonte del discorso come fossero tutti una indistinta massa minacciosa.

La Commissione sa bene, anche se finge di non saperlo, che le problematiche giuridiche di come gestire arrivi massicci in un contesto di strumentalizzazione dei migranti da parte di un Paese terzo (ugualmente come in altri contesti di crisi le cui cause possono essere le più diverse) sono oggetto di una già esistente proposta di Regolamento dell’Unione per la gestione delle situazioni di crisi (COM 2020 0613); si tratta di un testo in discussione al Parlamento europeo che nella interessante e lucida proposta del relatore J.F. Lopez Aguillar prevede una procedura attivabile allorquando «un afflusso massiccio di persone che attraversano la frontiera in modo irregolare, o che seguono programmi di evacuazione, in un breve periodo di tempo può portare ad una situazione di crisi in un particolare Stato membro». Tale «situazione di crisi potrebbe anche essere innescata quando circostanze eccezionali che sfuggono allo Stato membro mettono a repentaglio la possibilità per lo Stato membro di adempiere ai suoi obblighi ai sensi del del diritto dell’Unione in materia di asilo e migrazione».

La stessa proposta prevede altresì l’attuazione di procedure finalizzate ad accelerare l’esame delle domande di asilo che appaiono già prima facie fondate e, soprattutto, l’attivazione di un meccanismo obbligatorio di rapida redistribuzione dei richiedenti asilo tra gli Stati della Ue per evitare che lo Stato di primo ingresso dove si è verificata la situazione di crisi sopporti un onere eccessivo. Perché dunque elaborare una proposta ex novo del tutto vaga e che non appare affatto necessaria? La Commissione ha in mente quanto avvenuto in Polonia e sa bene che si è trattato di una gigantesca crisi umanitaria e morale che si è verificata tuttavia senza che vi fosse alcuna emergenza reale in atto, nel senso che le poche migliaia di disperati (quasi tutte persone in chiaro bisogno di protezione) che la Bielorussia ha cinicamente strumentalizzato contro la Polonia avrebbero potuto essere accolte in Polonia senza rendere necessario neppure un piano di redistribuzione in altri paesi Ue.

Il problema politico era evidente ed acuto, ma la gestione sul campo del diritto d’asilo non consentiva in alcun modo di attuare da parte di un Paese Ue le misure violentissime che ha messo in atto. Invece di constatare le incredibili violazioni della legalità di cui si è reso responsabile il governo polacco (di cui ho parlato su queste pagine lo scorso 16 novembre) e di prendere misure adeguate affinché un simile livello di illegalità e di inaudita violenza non si ripeta mai più in Europa, la Commissione fa esattamente l’opposto, quasi cogliendo l’occasione che attendeva per avanzare, con enfasi ideologica, proposte nelle quali ci si libera finalmente di paletti, procedure e dati oggettivi, introducendo al loro posto dei non-concetti giuridici privi di alcuna reale pregnanza ma utilissimi ad essere utilizzati in ogni circostanza a seconda della volontà politica del momento. Basteranno anche pochi e vacui argomenti per invocare l’esistenza di una “situazione di strumentalizzazione dei migranti” da parte di uno Stato terzo verso uno Stato membro per permettere a quest’ultimo di derogare quasi a tutte le fondamentali leggi vigenti nell’Unione in materia di asilo: in primo luogo potrà registrare le domande di asilo in deroga ai tempi oggi imposti dalla Direttiva procedure arrivando fino a quattro settimane dopo il loro arrivo (quale trattamento sarà riservato ai richiedenti fino a qual momento?), ma soprattutto potrà decidere «alle frontiere o zone di transito sull’ammissibilità e sul merito di tutte le domande registrate» in deroga generale alle garanzie oggi previste dal diritto dell’Unione.

Nell’attesa (che potrà protrarsi per quattro mesi), l’accoglienza del richiedente asilo può avvenire in generale deroga delle norme vigenti previste dalla Direttiva Accoglienza limitandosi al solo vitto e ricovero d’emergenza anche in ragione del fatto che il richiedente asilo non è autorizzato ad entrare nel territorio dello Stato (anche se di fatto vi è già) utilizzando la cosiddetta finzione di non ingresso: uno stratagemma concettuale perverso ma geniale grazie al quale, in caso di domanda di asilo respinta, lo straniero potrà essere rapidamente allontanato come colui che è rimasto al di là della frontiera, aggirando in tal modo persino le procedure e le garanzie, già minime, previste dalla vecchia Direttiva rimpatri (115/2008/CE). Questo stato di quasi-sospensione del diritto d’asilo che può protrarsi per sei mesi rinnovabili di altri sei, e che può essere riproposto un numero indefinito di volte, non richiede – lo voglio sottolineare ancora una volta l’esistenza di alcuna oggettiva e verificabile situazione di gravissima emergenza che impedisca oggettivamente la possibilità, per lo Stato membro, di gestire in modo ordinato la situazione che si è creata. Né tanto meno le misure sarebbero applicate sulla base della fondatezza delle domande di asilo; la Commissione richiede solo con una espressione generica che lo Stato membro esamini «in via prioritaria le domande di protezione internazionale probabilmente fondate e quelle presentate da minori non accompagnati e da minori e loro familiari» assoggettandole comunque, tutte, allo stesso regime derogatorio dei diritti e delle garanzie.

L’assoluta indeterminatezza delle ragioni che possono essere poste a fondamento della richiesta di attivare la procedura speciale in ragione di una “situazione di strumentalizzazione dei migranti” svuota di contenuto anche la flebile procedura attraverso la quale «il Consiglio valuta la proposta [avanzata dallo Stato membro]con urgenza e adotta una decisione di esecuzione che autorizza lo Stato membro interessato ad applicare le deroghe specifiche» senza che il Parlamento europeo abbia alcun ruolo. Una semplice intesa politica tra Stati permetterebbe dunque di comprimere con un’intensità mai concepita prima d’ora uno dei diritti inalienabili su cui si fonda l’Unione europea: il diritto d’asilo. Un’intesa, quella richiesta tra Stato proponente e Consiglio, facile da raggiungere dal momento che in caso di approvazione delle misure speciali quasi nulla sarebbero chiamati a fare gli altri Stati membri in termini di condivisione di azioni di solidarietà e condivisione delle responsabilità, salvo sostenere economicamente «misure di potenziamento delle capacità [dello Stato membro coinvolto] in materia di asilo, accoglienza e rimpatrio». In modo totalmente difforme da quanto richiesto dal relatore nella citata proposta di Regolamento di gestione delle situazioni di crisi, la Commissione neppure menziona nella sua proposta la possibilità di una redistribuzione, neppure volontaria, dei richiedenti asilo, tra gli Stati membri.

La caratteristica peculiare del diritto d’asilo come si è evoluto nell’età contemporanea è che esso è passato da una mera concessione da parte del Sovrano di turno a un diritto dell’individuo che le autorità sono solo chiamate a riconoscere, o a motivatamente rifiutare, sulla base di criteri giuridici predefiniti. L’estrema e sconcertante proposta dell’attuale Commissione europea sembra guardare invece a una concezione pre-moderna, nella quale il diritto d’asilo non è legato alla condizione della persona ma è determinato dalle circostanze nelle quali la domanda di protezione è stata presentata. Così che, se essa cade nel momento in cui è in atto uno scontro politico internazionale (tale infatti sarebbe l’invocata “situazione di strumentalizzazione dei migranti”) il suo diritto può indebolirsi o persino sparire.

(1- continua)