Xxx, questo aveva scritto alla voce ‘nazionalità’ sul suo permesso di soggiorno. Un’apolide, non riconosciuta da nessuno Stato, eppure uno Stato lei ce l’aveva, anzi due. Nata in Albania e da circa 30 anni in Italia, Stato per il quale aveva collaborato facendo arrestare oltre 40 connazionali che facevano parte di una banda di sfruttatori e torturatori di prostitute. Anna (nome di fantasia) era una prostituta come loro. Il suo vero nome lo conoscevano in pochi, il soprannome, molti di più. Da più di tre anni lottava contro un tumore al seno molto aggressivo che l’aveva costretta a numerosi cicli di chemioterapia, gli ultimi dei quali all’ospedale Santo Spirito, motivo per il quale si trovava a Roma.

Era stata in giro per gli ospedali di tutta Italia, da Nord a Sud, da Reggio Emilia, dove in tanti l’hanno aiutata anche con collette online, a Foggia e Brindisi. A Pavia, nonostante i problemi burocratici, era riuscita a ottenere il permesso di soggiorno e a farlo prolungare con scadenza a due anni invece dei canonici sei mesi, per la prima volta in trent’anni di permanenza sul territorio nazionale. Questo gli è costato l’indennità di invalidità con la quale viveva non potendo lavorare a causa delle cure alle quali si deve sottoporre.

Ha anche lavorato come interprete per le forze dell’ordine ma la sua ultima battaglia la stava combattendo contro il cancro: “I carabinieri del Nucleo radiomobile sono la mia carta vincente – ha detto –. I miei genitori nel momento in cui sono stata rapita ho fatto arrestare gli sfruttatori, mi hanno cancellata e i carabinieri mi hanno adottata. Mi sono aggrappata a loro come una bambina. Quando ho avuto un attimo di sconforto e ho pensato di compiere un gesto estremo, sono arrivati di corsa e mi hanno salvato la vita”.

Negli anni passati Anna aveva scritto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e quindi anche a Sergio Mattarella, implorando un intervento per farla “diventare italiana prima di morire”. “Nel 2000. Ho fatto il battesimo, la comunione. Perché io non ero niente prima. Nell’animo sono una cittadina italiana, ma per i documenti sono un fantasma. Il Presidente mi ha scritto quando mi sono operata quando ero in ospedale. Mi hanno rinnovato il permesso di soggiorno di tipo umanitario. La sopravvivenza è al massimo 5 anni di quel tumore che ho io e il tempo che rimane da vivere voglio viverlo come cittadina degna di questo paese”.

La sua storia è finita anche in tv dove si è appellata all’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini al quale chiedeva una deroga al cosiddetto ‘Decreto Sicurezza’. Aveva anche interpretato se stessa in un cortometraggio nel quale ripercorreva, con una parrucca al posto dei capelli, persi a causa della chemio, il suo arrivo in Italia in gommone a Brindisi, le torture e le violenze degli sfruttatori che l’avevano avviata alla prostituzione.

Racconta con le sue parole nel corto che ha anche partecipato a un festival internazionale di cinematografia: Tutto quanto è cominciato con un sequestro in Albania. Io avevo 17 anni circa, stavo camminando vicino a casa mia e mi ha avvicinato una macchina e mi hanno portato in un bunker. Lì hanno cominciato a violentarmi in gruppo e picchiarmi. Non avevo mai avuto un rapporto con un uomo. Da lì è cominciato il mio inferno. In effetti, chi viene violentata e destinata alla prostituzione vive in un inferno. Prima di questo ero una ragazza tranquilla che veniva da una famiglia normale, povera ma normale. Andavo a scuola, andavo in piscina e c’era proprio la squadra di nuoto dove io andavo perché ero bravissima, ero molto veloce a nuotare”.

I genitori l’hanno cercata all’inizio “ma poi quando mi sono perduta poi mi hanno cancellata come figlia perché secondo loro io avevo disonorato la loro razza. Mi hanno semplicemente cancellata. Però, ogni tanto mi dico che forse l’hanno fatto per tutelarsi. Avevano altri figli. Non ho nessun contatto con loro. Ormai per me i fratelli e le sorelle non sono quelli del sangue, ma sono quelli che mi stanno vicino”.

In Italia è arrivata “in gommone con un gruppo di ragazze, perché lì c’erano tantissime ragazze sul gommone e pure in quella casa dove stavo io, perché da quel bunker mi hanno portato in una casa. Da li poi in campeggio, dal campeggio al gommone, dal gommone in Italia. Era l’anno 1995 o 1996 se faccio il conto. Dopo, una volta giunta l’Italia era veramente infernale”.

“Sono stati 4 anni di inferno. Poi mi sono ribellata. I poliziotti venivano tutti i giorni a chiedere se potevano aiutare. L’hanno fatto per mesi, non mi sono fidata subito, e alla fine poi mi sono fidata di loro. Furono denunciate 80 persone italiane, arrestate 40 persone di origine albanese e condannate dai 15 ai 20 anni di carcere. Io mi sono impegnata ad aiutare le altre donne. Abbiamo anche denunciato gli italiani. Con articolo 18 ero sotto protezione. Mi hanno messo in un posto nascosto per tanto tempo. Poi c’è stato il processo dove io ho riconosciuto tutti”.

Sotto la pioggia torrenziale che sabato sera ha allagato mezza Roma, Anna ha scavalcato il parapetto di ponte Garibaldi e si è suicidata lanciandosi sulla banchina di cemento. È morta sul colpo, sognando di diventare davvero italiana, di trovare una casa e un posto tranquillo dove vivere. Inutili i soccorsi degli agenti di una pattuglia della polizia ferroviaria e di due passanti che hanno assistito alla scena, ma non hanno fatto in tempo a fermarla. “La prostituzione non è una libera scelta – aveva detto –. O è una mancanza di opportunità e ci sono tante donne… Noi abbiamo la schiavitù in Italia però ci sono quelle poche che non hanno alternative. Quella non possiamo chiamarla libera scelta”.

Riccardo Annibali

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