Se c’è una persona che rischia di rivestire il ruolo del vaso di coccio nell’ inchiesta piemontese sulla ‘ndrangheta, questo è Roberto Fantini. Perché nella sua veste di ex amministratore delegato di Sitalfa, società del gruppo Sitaf, è sospettato da una parte di mafiosità, per quanto in concorso esterno, per rapporti di lavoro con un’azienda di trasporto, e dall’altra di traffici politici che si sarebbero concretizzati in peculati in favore di esponenti del Pd. Fantini sarebbe l’uomo di collegamento che ha consentito ai carabinieri dei Ros e ai pubblici ministeri torinesi e infine anche al giudice delle indagini preliminari di tenere insieme due inchieste che non hanno nulla a che fare l’una con l’altra. Ma che hanno consentito di gettare l’ombra della mafia sulle prossime elezioni regionali piemontesi. Facendo precipitare nel panico i dirigenti del Pd, in testa la segretaria Elly Schlein, che vagheggiano l’istituzione di codici “morali” che esistono già in tutti i partiti compreso il loro.

Ma anche il presidente della Regione Alberto Cirio di Forza Italia, che si è affrettato a sollecitare le dimissioni di Fantini dall’Orecol, l’istituto di vigilanza sulla regolarità degli appalti, dove sedeva in quota politica di minoranza, indicato dal Pd. Tutti a dare per scontato che l’ipotesi dell’accusa sia una sentenza passata in giudicato. Di più, una verità sacrosanta fissata da un timbro di ceralacca. Nessun dubbio. È questa la debolezza della politica, questa mancanza di curiosità e soprattutto di coraggio.
Prima di tutto. Siamo sicuri che questi signori Pasqua, imprenditori calabresi al centro dell’inchiesta, siano dei mafiosi? Non viene a nessuno il dubbio, soprattutto a chi è radicato in Piemonte, che, benché questa famiglia viva nel centro della zona che è già stata colpita da innumerevoli inchieste di mafia, non sia mai stata sospettata di alcuna illegalità? E poi, i tempi dell’inchiesta sono un po’ strani. Gli ultimi atti di indagine sono del 2021. Poi per due anni è tutto fermo. Improvvisamente il pm nell’agosto del 2023 chiede le misure cautelari, che verranno concesse dal gip nell’aprile del 2024. Le accuse nei confronti di Roberto Fantini infatti risalgono all’epoca in cui era amministratore delegato di Sitalfa, cioè fino al 2021.

Due sono gli elementi che secondo l’accusa proverebbero la sua contiguità alla ‘ndrangheta e la sostanza dell’imputazione di “concorso esterno” in associazione mafiosa. Il primo è aver favorito la società Autotrasporti Claudio della famiglia Pasqua, consentendo anche illegalità come sovrafatturazioni e forniture gratuite di carburante in cambio di restituzione dei favori in denaro contante. Ma non esiste negli atti depositati alcuna prova né del fatto che la società Claudio sia stata favorita nell’attività di trasporto e movimento terra rispetto ad altre, né di questi presunti passaggi del denaro contante con l’amministratore delegato di Sitalfa. Il secondo elemento riguarda il fatto che, quando la società della famiglia Pasqua ha ricevuto un’interdittiva antimafia, Roberto Fantini avrebbe continuato a dare lavoro violando le regole della white list della prefettura.

L’ex amministratore delegato di Sitalfa nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip ha negato la circostanza con molta precisione. E ha dimostrato che la società Claudio, in applicazione dell’articolo 34 bis della legge antimafia, ha fatto ricorso al tribunale per ottenere la nomina di un commissario, cosa consentita quando si dimostri che il rapporto con ambienti mafiosi sia stato “occasionale”. Infatti dopo un anno l’interdittiva è stata revocata e attualmente la società che i magistrati considerano “mafiosa” ha riconquistato il suo posto nella white list della prefettura.
Il difensore di Fantini, Roberto Capra, considera molto fragile l’accusa nei confronti del suo assistito, dal momento che ha dato lavoro a persone che erano titolate a svolgerlo. Quanto alla parte “politica” dell’inchiesta, si può solo sperare che sia i dirigenti del Pd che anche lo stesso presidente Cirio abbiano la curiosità di metterci il naso.
L’imputazione di peculato riguarda due fatture emesse da una trattoria per pasti consumati in compagnia da Salvatore Gallo, il mago delle candidature in casa Pd in Piemonte, dell’importo rispettivamente di 750 e mille euro, oltre all’acquisto e montaggio di un treno di gomme per un’auto.
Un peculato in grande stile.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.