Nell’anno segnato dalla pandemia da coronavirus continuano a essere le donne a pagare il prezzo più alto. Fra revenge porn, femminicidi e stupri oggi, nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, i dati fanno accapponare la pelle. Dall’inizio dell’anno sono 96 le donne uccise, il 46% sul tota le degli omicidi. Viene uccisa una donna ogni 48 ore e la violenza si consuma soprattutto in famiglia su fidanzate, mogli e figlie. Nei mesi del lockdown le violenze domestiche sono cresciute dell’11% e le imminenti nuove misure di confinamento anti-contagio rischiano di far impennare questi numeri.

Oggi le attiviste di Non Una di Meno sono in piazza per colorare di fucsia le strade della Capitale al grido di: «Se ci fermiamo noi, si ferma il mondo!». Alla violenza domestica infatti si aggiunge la violenza istituzionale: sono già 470 mila le donne che hanno perso il lavoro durante la pandemia, obbligate all’impossibile conciliazione fra lavoro e famiglia. Il corpo della donna è sfruttato ma escluso dalle più ovvie politiche di welfare: le sue risorse sono considerate inesauribili e gratuite. Anche gli ospedali continuano poi a essere luoghi di sopruso: accedere all’aborto è sempre più complicato e, in tempi di Covid, le donne sono costrette a vivere il dramma della perdita di un figlio, obbligate ad affrontare tutto da sole nella totale indifferenza di quella stessa istituzione che dovrebbe tutelarne la salute e le scelte. E poi i cimiteri dei feti. «Hanno sepolto mio figlio a mia insaputa e messo il mio nome sulla croce», ci raccontava Francesca poco più di un mese fa quando l’abbiamo incontrata al cimitero Flaminio di Roma. L’ennesima donna stigmatizzata per le proprie scelte. Ma anche i tribunali e lo spettro dell’alienazione parentale continuano ad avere un enorme peso sulla vita delle donne che, spaventate dalla possibilità di perdere i figli, non trovano il coraggio di denunciare.

Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, ha sottolineato nell’incontro organizzato ieri dalla Commissione femminicidio del Senato, il ruolo fondamentale che hanno svolto e continuano a svolgere i centri antiviolenza, ma – sostiene Veltri – «è necessario snellire il percorso amministrativo per ricevere i finanziamenti. Prevedere una programmazione pluriennale e la liquidazione tempestiva dei fondi» per finanziarne il lavoro. E infine la politica. Quasi un anno fa entrava in vigore il “Codice Rosso”: sono state circa 90 le sentenze di primo grado per i reati introdotti dal provvedimento, 80 le condanne. Le indagini avviate sono oltre 3000. Ma questa legge ha un grande limite: interviene nel momento in cui la violenza è già avvenuta. «Alcuni dati mostrano che qualcosa comincia a funzionare meglio che in passato ma siamo consapevoli che il Codice Rosso non è una panacea – ha commentato il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte – ma i dati sui femminicidi ci dicono che il percorso da fare è ancora lungo». Sì la strada è ancora lunga, ma la lotta non si ferma.