Filippo Rossi, cui si deve un movimento in progress che prende il temerario nome di “Buona Destra” racconta di non amare l’ordinaria “destra” che altri, sovranisti nostalgici del penoso “cattiverio” nero, ritengono ancora adesso una pepita aurea del sentire reazionario nazionale. Continuità e bene rifugio subculturale di chi sempre sospira sotto la statua equestre di Mussolini, concepito, sempre quest’ultimo, come cuspide intoccabile di un regime che avrebbe dato orgoglio e soddisfazione alla nazione. Con un paradosso che ribalta l’accusa principale d’abitudine mossa alla sinistra, sempre Rossi auspica invece esattamente «una destra che rappresenti la Ztl, ossia le élite della borghesia produttiva, culturalmente degna di questo suo nome».

C’è allora da immaginare per lui cammino tutto in salita, ancora lontano dalle “discese ardite” del consenso e dell’attenzione che meriterebbe il suo intento “civile”; giusto per usare un’immagine prosaica e degna di Lucio Battisti, a sua volta, con quel “canto libero in un mondo che non ci vuole più”, riferito invece al nero. Rossi, accennando alla destra della Meloni e di Salvini, va oltre: trovando discutibile che «esista una classe borghese che, pur avendo tutti i difetti propri, è stata abbandonata dalla destra, infatti trovo il loro odio verso coloro che definiscono con disprezzo ‘radical chic’ un errore politico immenso, se è vero poi che nasconde il rifiuto della complessità, non a caso Meloni e Salvini vincono nei quartieri popolari, non riuscendo invece a convincere proprio la borghesia, così alla fine non sono in grado di governare il Paese». E se fosse una tara incancellabile? «Il punto è che sono partiti che non hanno istanze culturali, cominciando appunto dal rifiuto del concetto di élite. Al contrario, è una destra che rincorre i peggiori sentimenti che vengono dal basso. Quando sia la Meloni sia Salvini disprezzano la borghesia comprendi che non è un caso che le classi produttive abbiano scelto di non votare o si siano spostate a sinistra».

Filippo Rossi, personalmente, in anni in cui tutti o quasi dicevano quanto il personale di Forza Italia fosse “analfabeta” politicamente, mentre, sempre parole altrui, «la Meloni, sì, che è brava, lei che viene da una seria tradizione di partito come il Msi», ci invitava a diffidare proprio dalla Meloni, descrivendone i tragici limiti. Una convinzione che conferma ancora adesso. «La Meloni è a tutto tondo l’espressione di una destra estrema populista, e non si può pretendere che sia altro». Obietto di trovare risibile la filastrocca “Sono Giorgia, sono madre, sono italiana, sono cristiana”. Anche qui, Rossi mi soccorre: «Utilizza cifre banali, talmente basse, peggiori di Dio, Patria e Famiglia, se queste ultime sono istanze collettive, le sue sono istanze individualistiche».

Filippo Rossi, lo diciamo per completezza, ha iniziato la sua storia politica militando in Terza posizione, («… perché la sede di Balduina del Msi era chiusa per ragioni di polizia, avevo quattrodici anni, anche e quindi sono contrario che i movimenti siano sciolti»), poi in Alleanza nazionale. A lui, fra l’altro, si deve, con Luciano Lanna, un libro significativo, Fascisti immaginari, che fa luce proprio sul paesaggio neofascista della destra italiana, verrà infine l’esperienza di Fare Futuro: «Non credo sia stato un fallimento, i partiti possono crollare, ma bisogna tenere botta». E Fini, la sua dissoluzione? «Dopo lo scontro tra Fini e Berlusconi, espressione di un centro comunque moderato, non si è avuto nient’altro, quel centrodestra rispetto all’attuale era oro come offerta politica. A Fini si deve di avere traghettato la destra missina nella Seconda repubblica, il post-fascismo, lo scontro ha fatto sparire quel centrodestra e da allora il centrodestra a trazione sovranista non governa più». Quanto al tormentone della legge elettorale: «Il bipolarismo è morto e sepolto, non funziona, infatti il governo del paese non è bipolare da almeno dieci anni, comincio a essere invidioso del sistema tedesco dove la Cdu può governare con i socialdemocratici, con assoluta pacatezza laica».

Quale sarà il progetto della Buona Destra? «Le cose che vanno fatte? finché l’Italia non tornerà creatrice di bellezza sarà un fallimento». Viene in mente Caffeina, un festival, un laboratorio, sia culturale sia politico, che Filippo Rossi ha messo in piedi da oltre dieci anni nella sua Viterbo: «La grande bellezza della nostra storia, secoli di buona politica che hanno fatto sì che l’Italia sia il paese più bello del mondo. Mentre adesso la politica discute senza mai nominare ciò che lasceremo ai nostri figli. Non c’è progetto: tutta la politica italiana si è trasformata in sindacalismo, quando si arrocca su quota 100, sugli interessi dei pensionati, è un atteggiamento parziale ed egoistico, perché la politica è lasciare segno del nostro passaggio nella storia». Agli occhi di Rossi, la politica galleggia delegando, «non è riuscita a uscire dal dopoguerra, una perenne guerra civile. Siamo l’unico paese europeo che ha continuato a farsi la guerra come se nulla fosse successo». Quanto al ddl Zan, gli faccio notare che ha ripresentato lo scontro fra reazionari e progressisti, come era accaduto nel ’74 con Fanfani e Almirante, contro il divorzio…

«Personalmente avrei votato il ddl Zan, perché quella è una legge giusta, peccato sia stata presentata come una legge manifesto, era più importante farla, piuttosto che arrivare allo scontro, trovando una mediazione. Dal punto di vista della fuffa propagandistica sembra serva la guerra civile, ha sbagliato Letta, ma ha sbagliato anche la destra liberale che continua a rincorrere la destra sovranista». Salvini e la Meloni per le alleanze che hanno scelto, Orban e i polacchi… «Ripeto, Meloni e Salvini rappresentano partiti di estrema destra. Tu ce la vedi la Merkel andare a braccetto con Alternative für Deutschland? O Macron andare a braccetto con la Le Pen?». Certo, Filippo, davanti a ogni scuola di Francia c’è una targa che denuncia la Shoah, dove è scritto che è avvenuta con la collaborazione del governo di Vichy, mentre in Italia non si vogliono amareggiare i fascisti, a parte Fini che ha parlato di “male assoluto”.

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Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "Quando c'era Pasolini" (2022). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube. Il suo profilo Twitter @fulvioabbate