Non è tanto l’ineleganza degli applausi da stadio a impensierire. Certo, non stava bene la ola per il naufragio del ddl Zan: ma più brutte erano le mozioni profonde che sollevavano quell’onda di tripudio. Era la soddisfazione per il diniego parlamentare avverso un provvedimento di dubbia compatibilità liberale? No davvero. Era la festa per l’inibitoria di una riforma su cui erano fattibili parecchi rilievi di armonia costituzionale? Nemmeno. Era, piuttosto, la soddisfazione per aver messo sotto una maggioranza che voleva insidiare l’innocenza infantile portando nelle scuole insegnanti pervertiti e pretendeva di conculcare la libertà sacrosanta di spiegare che l’omosessuale è un disturbato e che il trans deve fare ginnastica a casa sua perché se va in palestra mette in imbarazzo i papà e le mamme in pausa da Family Day. Questo era.

Noi pochi infelici, molto contrari al ddl Zan per lo stampo nettamente autoritario di quella normativa, e per l’incalcolato urto ordinamentale che essa avrebbe comportato, abbiamo fatto molta fatica persino a poter spiegare le nostre ragioni: stretti tra quelli per cui l’Italia periva nella barbarie se il ddl Zan non passava, e quelli per cui l’approvazione della legge avrebbe trasformato il Paese in un laboratorio di eugenetica contro natura. Ma su quel testo discutibilissimo, e sulle discutibilissime ragioni poste, dai più, a sorreggerlo, non è intervenuta una negatoria civile e costituzionalmente fondata, ma una specie di rivincita codina che non ha insinuato nell’opinione pubblica e nelle istituzioni nemmeno un pizzico di coscienza liberale.

Ci siamo sgolati, sempre noi pochi, per spiegare come quei propositi di riforma non fossero misurati sul riconoscimento di qualche diritto ma sull’aggravamento di parecchie pene, ed era stupefacente assistere a come l’argomento fosse bellamente trascurato dal garantismo di professione. Così come non c’era verso di far capire che, in quel modo, inammissibilmente si affidava al legislatore ordinario di scrutinare, con la stessa legge che pretendeva di realizzarli, la compatibilità costituzionale dei propri intendimenti. Quel legislatore – ordinario, ripeto, che avrebbe deciso con i metodi e con le maggioranze dell’attività legislativa ordinaria – si sarebbe intestato una gestione applicativo-interpretativa di quei beni costituzionalmente riservati, sino a far selezione tra le “condotte legittime” (testuale) e quelle che invece, per l’idoneità all’istigazione di atti violenti e discriminatori di cui esse dessero prova, dovessero ritenersi sprovviste di guarentigia costituzionale.

Quanto fosse pericolosamente inopportuno (è un eufemismo) lo stabilirsi di un simile precedente avrebbe dovuto essere compreso da chiunque avesse non dico profonda conoscenza, ma almeno vago sentore, delle ragioni fondamentali del nostro ordinamento. Ma, appunto, niente da fare. E, sull’altro fronte, la destra Dio-Patria-Famiglia che si è esibita in quell’ovazione. E lo Stato di diritto, come al solito, completamente estraneo alle due curve.