Dura, sprezzante, una macchina da guerra inarrestabile, protetta dal nero della toga e degli occhiali da sole sormontati dal fuoco dei capelli. Concentrata sul nemico, implacabile contro i mafiosi e in corsa perenne per placcare il Cavaliere oltre la meta. Sorda perfino ai consigli di De Gennaro. Poi il corpo si scuote, la toga scivola sui fianchi, gli occhiali si sollevano a cerchio sullo scompiglio dei riccioli, gli occhi si illuminano e irrompono dalle cuffiette del walkman le parole di miele della Nannini.

La Boccassini stretta in un abbraccio intercontinentale con Giovanni Falcone che è immerso nel dramma di essere contemporaneamente Ulisse e Ettore senza poter essere Achille, di non aver mai abbandonato Itaca per poterne fare ritorno, perennemente assiso sopra le mura di Troia a studiare una difesa impossibile, perennemente a testa in su a scrutare crepe nella difesa di un muro impossibile da scalare, perché lui era Troia e la Grecia, sapeva tutto dell’una e dell’altra. Avrebbe inchiodato a una croce il pentito più puro e una a una avrebbe scarnificato le sue verità, riducendole a ossa abbandonate dalle fiere sulla rena di una spiaggia: sbranate dal vento e dal sale, lucidate dal sole come i resti di mostri preistorici. L’avrebbe lasciato parlare, avrebbe fumato sigarette a migliaia, e all’ultima gli avrebbe sorriso, accartocciato il pacchetto l’avrebbe buttato nel cestino, “signor pentito, adesso mi dica la verità, quella vera”.

Era liberatorio crollare davanti a lui, rivelarsi per quello che si era e farsi riportare al banco, ringraziare per il voto basso. E pure Giuda se si fosse trovato davanti a Falcone, dopo aver parlato di disegno divino, di necessità del proprio tradimento, di eroismo nell’accettare il ruolo, avrebbe riconosciuto nel denaro la molla della sua collaborazione con la Legge dell’Impero. Eppure, fuori dal mito ma rimanendone profondamente dentro, per qualcuno, Falcone “è un figo”. Per Ilda Boccassini assume i panni di una “meravigliosa creatura”, per cui “molti mari e fiumi attraverserò. Dentro la tua terra mi ritroverai. Turbini e tempeste io cavalcherò. Volerò tra i fulmini. Per averti”. Succede che ognuno costruisca dei ruoli, dentro ci mette gli amici, i nemici. Tutto secondo il proprio punto di vista: carne e sangue e sentimenti, tenuti insieme e in vita da uno sguardo personale. Poi, il nemico o l’amico, prepotentemente si sollevano, infrangono lo schema, fanno a pezzi la visuale. Ed è difficile accogliere la sorpresa, accettare una creatura che sfugge alla nostra idea, di essa. Ammettere cose buone o brutte, comunque sorprendenti, che mai avevamo scorto.

La dimensione profondamente umana di due esseri seduti accanto spiazza più d’uno: soli su un aereo che passa da un mondo a un altro, stretti in un abbraccio che spezza la solitudine e manda in frantumi l’idea che ci si era fatta di loro. “Luce dei miei occhi, brilla su di me…occhi di sole, bruciano in mezzo al cuore”. Gianna Nannini non avrebbe potuto cantarla quella canzone nel 1991, Meravigliosa creatura l’ha scritta dopo, nel ‘95, a distanza di quattro anni dal viaggio in Argentina di Ilda Boccassini e Giovanni Falcone per interrogare il boss Fidanzati. Nel ‘95 Falcone sarebbe stato già via, la Boccassini già dietro alle galanterie del Cavaliere. Ma è il testo di Meravigliosa creatura, il più adatto a interpretare il sentimento che a distanza di trent’anni la Boccassini ha rivelato, in un libro: La stanza numero 30. E non per forza si deve stringere lei dentro al ruolo che ha rivestito; non per forza si deve pensare a lei, se la si sia considerata amica o nemica. Pudore, delicatezza, opportunità, convenienze.

Erba secca di trenta stagioni che il fuoco divora. Forse è lo struggimento di un sangue che per trent’anni ha provato a lavare amarezza, a circondare il cuore di confini insuperabili. Forse è il fiume del dolore e dell’amore che insieme sono incontenibili. Crollano le dighe e sulla corrente i sentimenti sbattono fra le rocce di un letto trasformato, nuovo. Forse fuori dalla stanza in cui passiamo intere esistenze, riacquistiamo dimensioni che sorprendono gli altri, a volte noi stessi. Torniamo a coltivare passioni che avevamo contenuto, o semplicemente le rivendichiamo. Urliamo tutto quello che ci siamo tenuto nell’anima, talmente potente da aprire un varco. Rivelarsi non è una scelta, ma l’unico modo di proseguire. La verità non è un insulto alla memoria. È un dono. Dopo trent’anni, Giovanni Falcone è immerso nel mito; Ilda Boccassini è fuori dalla sua stanza in Procura. La confessione di un amore non muta il destino, non scalfisce il mito, addolcisce i contorni alle leggende, riporta tutti dentro il cerchio dei sentimenti che rende uguali. Nel ‘91, Meravigliosa creatura non era ancora un testo -Pendo dai tuoi sogni. Veglio su di te. Non svegliarti, non svegliarti ancora-.

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E' uno scrittore italiano, autore di Anime nere libro da cui è stato tratto l'omonimo film.