La lezione degli Stati vicini
Francia e Germania investono in tecnologia e transizione ecologica, l’Italia pensa ai banchi a rotelle…

Superato (magari) il tic che porta a trasformare ogni euro che arriva dall’Europa in spesa corrente a vocazione elettorale, è il momento di verificare se esiste una visione sul futuro del Paese, su ciò che ci manca e verso dove indirizzare la rotta della nave Italia. I soldi vanno investiti in progetti che lascino il Paese più forte, libero, semplice, attraente ed equo. Ricordo a tutti che se siamo il Paese a cui sono destinate le quote maggiori di Sure significa che in termini di protezione del lavoro stimiamo di essere quelli che saranno più in difficoltà. I dati sull’occupazione in costanza di proroga di Cig e blocco dei licenziamenti dovrebbero suggerire toni non più pessimistici ma più consoni.
Der Wumms, Germania!
Der Wumms, big bang. È questo il termine con cui il governo della grande coalizione guidato da Angela Merkel ha definito la maxi-manovra di stimolo da 130 miliardi, pari al 4% del pil, per rilanciare l’economia «con ottimismo» ma sulla quale pesa per quest’anno la più violenta recessione dal dopoguerra provocata dalla pandemia da coronavirus. Un governo che senza valorizzare rimbalzini parla di crisi senza precedenti e dell’arrivo di uno dei periodi più difficili della storia. Il “pacchetto per la congiuntura” che parte nella seconda metà del 2020 e si estende al 2021 è infatti composto da 57 interventi in 15 pagine. L’obiettivo è «rafforzare i consumi scuotendo la psicologia del consumatore impaurito dalla pandemia», per potenziare gli investimenti dalle auto elettriche alle ferrovie, dalla digitalizzazione all’alta tecnologia, per sostenere ancora le imprese e anche i Comuni più indebitati, colpiti da blocchi, rallentamenti e chiusure provocati dal Covid-19. Con qualche contraddizione sul sostegno alle sole elettriche e ibride solo plugin, comunque con incentivi che arrivano a 6mila euro a cui aggiungere i 3mila e solo per auto con un prezzo sotto i 40mila. Anche lì la guerra al diesel pulito, come l’euro 6d-Temp non ha alcun senso e sta creando problemi drammatici all’occupazione senza nessun vantaggio sul piano ambientale. Le industrie si accontenteranno della riduzione dell’Iva dal 19 al 16%. In Italia il parco auto inferiore all’euro 4 è del 40%.
Ecco le misure principali dei 130 miliardi di cui 120 saranno stanziati dallo Stato federale. Per l’Iva, taglio dal 19% al 16% e dal 7% al 5% (molti prodotti alimentari hanno in Germania già una tassa ridotta) per un periodo di sei mesi dal primo luglio al 31 dicembre 2020, con un costo stimato in 20 miliardi per le casse dello Stato. Poi il taglio dei costi di elettricità per famiglie e imprese e il taglio delle tasse per promuovere le centrali elettriche verdi. Investimenti: 50 miliardi per l’economia sostenibile, energie rinnovabili, digitalizzazione, mobilità. Più investimenti nella rete ferroviaria e aiuti a trasporti locali. Per Deutsche Bahn in arrivo cinque miliardi di ricapitalizzazione, dopo perdite stimate tra 11 e 13,5 miliardi e un crollo dei viaggiatori del 90%. Per le famiglie si prevede un bonus per ogni figlio, da 300 euro, che sale a 600 in casi particolari. Sono 25 i miliardi destinati alle imprese, soprattutto pmi, più colpite dalla crisi. L’impatto sul debito pubblico? Aumenterà, ma il ministro delle Finanze Olaf Scholz ha detto che ha una dote da 60 miliardi da spendere dal precedente pacchetto di aiuti di emergenza e quindi i 130 miliardi non si trasformeranno tutti in nuovo debito.
France Relance
La Francia ha appena reso pubblico il proprio Piano di rilancio economico, France Relance (FR), finanziato al 40% dal Next Generation Eu. Un piano di 100 miliardi articolato in 70 misure suddivise in tre grandi capitoli: transizione ecologica, competitività e coesione sociale. I termini di Macron, anche nella presentazione del Piano sono diversi e si delinea un orizzonte che arriva al 2030 con l’obiettivo esplicito di avere una Francia più indipendente, verde, competitiva e attrattiva. I 100 miliardi sono suddivisi in 30 miliardi per la transizione ecologica, 35 per le politiche industriali e altri 35 per coesione e sanità. A differenza di quello tedesco che si occupa di rilanciare anche la domanda interna, FR è un piano interamente indirizzato sull’offerta: rafforzare e rilanciare gli investimenti, la capacità produttiva, tutelare l’occupazione, spingere sull’innovazione. Leggendo le 300 pagine che compongono FR si intravede un grande sforzo di progettazione, si riconosce la lunga e solida tradizione transalpina dello Stato pianificatore. Molto qualificante il capitolo sulla transizione ecologica che non è vista solo come riduzione delle emissioni.
In Francia come in Germania, si intravede il consolidamento di una scelta relativa al passaggio all’utilizzo dell’idrogeno come fonte energetica a cui si destinano ben nove miliardi (stessa somma stanziata dalla Germania). Sembra evidente che la Francia voglia puntare su una maggiore indipendenza energetica e l’idrogeno è il vettore destinato a sostituire nucleare e idrocarburi, almeno per quanto riguarda gli utilizzi finali, mentre a monte diventano centrali gli investimenti nelle rinnovabili. Ma non solo. Nel Piano sono previsti fondi per realizzare veicoli aerospaziali, aerei, treni a idrogeno e batterie per le auto elettriche. Come in Germania è molto forte la “cura del ferro” con investimenti su infrastrutture e trasporto pubblico (11 miliardi), ferrovie in primis. Il capitolo sulla competitività è quello che meglio chiarisce la filosofia di FR. Le misure di politica industriale sono raggruppate sotto il titolo Souveraineté technologique. La Francia, in altre parole, intende riconquistare o conquistare una sua “sovranità produttiva”. La risposta francese al blocco degli approvvigionamenti, alle interruzioni nelle catene del valore dovuti alla pandemia e al lockdown sembra essere quella di sognare un Paese in qualche modo più autosufficiente. Ben 11 miliardi sono destinati a investimenti nelle tecnologie strategiche (PIA – Piano di investimenti dell’avvenire), complessivamente 20 miliardi tra il 2021 e il 2025. Macron non ha paura di individuare i settori da finanziare: tecnologie numeriche, intelligenza artificiale, biomedicale, energia, agricoltura e sovranità alimentare (!), trasporti e mobilità, città del futuro.
Ma ci sono fondi anche per l’automobile e per il settore aeronautico. La cybersecurity è un altro capitolo che ha la massima attenzione e anche questo in chiave di indipendenza, sicurezza nazionale, sovranità tecnologica. Un miliardo di euro è destinato a favorire il “reshoring” su territorio francese di lavorazioni oggi all’estero. Vi sono poi dieci miliardi per la riduzione della tassazione gravante sulle imprese nel 2021 e altri dieci per il 2022; la riduzione, tuttavia, sarà permanente e quindi verrà poi finanziata su base continuativa. Tre miliardi di euro sono destinati alla ricapitalizzazione delle piccole e medie imprese. Il terzo capitolo, coesione, ha come cardine la sanità (sei miliardi) e la formazione dei giovani (due miliardi), life-long learning (un miliardo) e formazione per tutelare e rafforzare l’occupabilità dei lavoratori (7,6 miliardi). Il piano francese è interessante e dettagliato. In vari casi sono indicate anche le variabili che verranno usate per monitorare i risultati raggiunti. È coraggioso individuare con chiarezza i cambiamenti che si vogliono facilitare nel sistema produttivo. Scegliere i settori da finanziare con i fondi pubblici è sempre rischioso, ma forse oggi è più rischioso non scegliere o dare aiuti a pioggia e scegliere poco un po’ tutti, all’italiana. La logica è quella di rendere la Francia più autonoma e indipendente. Si punta sull’idea che sia possibile aumentare la sovranità tecnologica e produttiva quasi come se ci si dovesse preparare a un lungo isolamento. Alla sovranità macroeconomica dei populisti, Macron contrappone la sovranità microeconomica dell’energia e della tecnologia. Il termine “globalizzazione” non viene mai usato nelle 300 pagine del Piano.
La stessa parola “Europa” è quasi assente. È vero che l’asse franco-tedesco rischia di essere un surrogato, esso stesso, della politica europea da cui noi siamo marginalizzati, ma una scelta europeista su energia, mobilità, ricerca e innovazione sarebbe stata molto più forte. Oggi serve una strategia per avere nei settori chiave dei “campioni europei”. La vicenda della cantieristica navale fa vedere quanto i francesi siano ancora intrisi di un masochistico nazionalismo industriale. Sull’aereospazio e sulla difesa servirebbe un’occasione per costruire una convergenza su un catalogo europeo e forse sarebbe anche l’occasione per ripensare una partecipazione diretta in Airbus. La vicenda 5G fa vedere quanto l’Europa sia il perimetro minimo per una politica industriale forte su scala globale. Una tecnologia che nasce in Europa con Ericsson e regalata alla leadership mondiale cinese di Huawei per insipienza e distrazione della politica europea.
E l’Italia?
Con questi assunti, l’Italia può far tutto tranne che sommare i progetti sulle scrivanie ministeriali. Dopo il catalogo primavera-estate di bonus, bisogna recuperare una visione del Paese e costruire politiche coerenti. Se non abbiamo la forza in politica estera per filoni europei di utilizzo del Next Generation EU, non possiamo trascurare, ancora una volta, i nostri deficit strutturali alla crescita. Servono politiche utili a costruire habitat più favorevoli allo sviluppo delle persone e delle imprese. Abbiamo troppe imprese piccolissime e sole. Bisogna mettere insieme i due piani strategici: sulla ricerca il Piano Amaldi e il piano per un Fraunhofer Italia. Francia e Germania hanno già queste infrastrutture. Guardate le somme che spenderanno oltralpe su intelligenza artificiale, cloud, big data e super computer.
Il Piano Italia deve tener conto che in Italia si assottiglia il tessuto industriale e rischiamo di diventare un Paese unicamente fornitore di componentistica e beni intermedi. A differenza di Germania e Francia abbiamo anche grave inadeguatezza della pubblica amministrazione (su questo serve un progetto serio di riorganizzazione ed efficientamento e digitalizzazione) e formazione. Mentre tutto il mondo sta discutendo sui nuovi modelli adattivi di apprendimento, in Italia il dibattito è fermo ai banchi con o senza o rotelle. Va rimodernata tutta la filiera dell’educazione e della formazione, ancora troppo fordista. La grande rivoluzione tecnologica richiede competenze e più istruzione. Serve un grande piano di reskilling di lavoratori e disoccupati italiani. Dopo lo stop del Conte 1 a Industria 4.0 non si può che apprezzare il proposito del Ministero dello Sviluppo Economico di investire risorse in Transizione 4.0 e di pensare a trasferire tecnologie e competenze con un sistema simile al Fraunhofer. Ora tuttavia, bisogna fare attenzione a non sommare progetti senza una ratio strategica.
Le rotte e le forme della globalizzazione stanno cambiando. Indipendenza o cooperazione continentale sono strade diverse. Ma Paesi integrati a livello globale come Francia e Germania si possono permettere qualche sottovalutazione in più di noi. Il governo beneficia ancora di un rally around the flag, di fiducia che gli italiani gli affidano per la pandemia. È nostro interesse collaborare affinché il governo centri le grandi questioni con le misure necessarie. Non serve il tiro al piccione, allo stesso tempo, è sempre più insopportabile la propaganda dell’ottimismo senza costrutto e senza strategia. La paura “dell’avvento delle destre” non può essere un alibi per altri sperperi di denaro pubblico a vocazione elettorale. Noi italiani abbiamo davanti l’ultima grande occasione per rafforzare in modo strutturale il Paese. Servono strategie e servono riforme. Burocrazia, efficienza della pubblica amministrazione, riforma della giustizia, ammodernamento dell’impianto istituzionale. Non ci sono scorciatoie, le riforme vere scontentano equamente un po’ tutti in nome di un’efficacia maggiore della nostra democrazia e della macchina statale. Forse ci accorgeremo che non è il momento degli imbonitori e che, senza leadership coraggiose, tutti i migliori propositi sono morti in partenza.
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