La tregua nella Striscia di Gaza sembra destinata a reggere. Nel primo giorno di prolungamento del cessate il fuoco tra Hamas, Jihad islamico e forze armate di Israele, il gruppo di dieci ostaggi previsto dall’accordo (oltre a due stranieri) è stato consegnato alla Croce Rossa con lo stesso procedimento dei giorni scorsi. Prima il passaggio in Egitto attraverso il valico di Rafah, poi il rientro nello Stato ebraico passando per Keret Shalom scortati da militari e intelligence di Israele. Dall’altro lato, il governo israeliano ha consegnato in serata il nome dei trenta detenuti palestinesi rilasciati in cambio degli ostaggi: 15 donne e 15 giovani trasferiti dai centri di detenzione al punto di raccolta a Ramallah, in Cisgiordania.

Gli ostaggi e le tensioni a Gaza

Lo scambio è avvenuto secondo copione, e questo nonostante accuse reciproche e soprattutto un incidente nella Striscia che sembrava potesse provocare l’interruzione della tregua. Le Israel defense forces hanno denunciato l’esplosione di alcuni ordigni nel nord della Striscia di Gaza, con alcuni colpi di armi da fuoco che hanno provocato il lieve ferimento di alcuni soldati e a cui le forze armate hanno dato pronta risposta.

La stessa accusa è stata poi rivolta a Israele dal braccio armato di Hamas, le Brigate al-Qassam. “In una chiara violazione della tregua da parte del nemico, si sono registrati scontri a nord di Gaza. I nostri mujahedin hanno risposto a questa violazione”, hanno scritto in una nota i miliziani di Hamas, che hanno poi promesso di rispettare i termini del cessate il fuoco e richiesto ai mediatori internazionali di premere sullo Stato ebraico per il mantenimento dello status quo.

La pressione interna in Israele

La tensione nel nord dell’exclave palestinese, con le accuse incrociate tra Hamas e Israele, ha fatto temere per alcune ore che la tregua fosse destinata a interrompersi. E questo anche per la pressione interna alla maggioranza che sostiene il governo di Benjamin Netanyahu. Il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, uno dei “falchi” della destra radicale e apertamente contrario alla tregua concessa da Israele, ha esortato il premier a interrompere il cessate il fuoco, per “non aspettare che uccidano i nostri combattenti”.

Ma da parte del governo non vi è stato alcun segnale di volere cambiare repentinamente la rotta tracciata in questi giorni. E questo soprattutto per due motivi. Il primo è il desiderio di riportare a casa il maggior numero di ostaggi, rapiti, ricordiamo, nel brutale assalto del 7 ottobre. Lo ha spiegato lo stesso primo ministro, che ieri ha ricordato l’obbligo di “completare la restituzione degli ostaggi” e l’impegno “per il rilascio di tutti i nostri ostaggi, donne e bambini, e di tutti gli altri, senza eccezione”. Le testimonianze dei più piccoli liberati in questi giorni, come quelle riferite dalla zia di Eitan Yahalomi, confermano del resto il dramma vissuto durante il sequestro, con i più piccoli costretti a vedere video delle atrocità commesse durante l’attacco terroristico o minacciati con le armi se si lasciavano andare a un pianto disperato.

Per l’esecutivo israeliano, è fondamentale spezzare questa catena di orrore il prima possibile. E, considerata la difficoltà nel localizzare gli ostaggi nascosti nella Striscia di Gaza, difficili da individuare anche per la stessa Hamas, è importante evitare di interrompere questo canale, anche se significa accettare condizioni dure. Il secondo motivo di Netanyahu per mantenere in vita la tregua è poi anche la pressione internazionale, come del resto già accaduto in fase di trattative.

La diplomazia al lavoro

Ieri, i direttori della Cia, del Mossad e dell’intelligence egiziana sono tornati a Doha, in Qatar, per incontrare il primo ministro dell’emirato. L’obiettivo sembra sia stato quello di discutere non solo sui progressi della tregua ma anche del possibile futuro accordo tra Israele e sigle che controllano l’exclave palestinese. Nella regione è inoltre atteso il segretario di Stato Usa Anthony Blinken, alla quarta visita dall’attacco di ottobre. “Siamo determinati a continuare per tutto il tempo possibile per far tornare a casa il maggior numero possibile di persone” ha detto il capo della diplomazia Usa da Bruxelles. E ieri, a conferma del pressing di Washington, è arrivato anche un nuovo monito da parte dell’amministrazione Biden riguardo la futura ripresa delle ostilità nella Striscia di Gaza.

Alcuni alti funzionari statunitensi hanno avvertito Israele di non poter replicare nel sud del territorio palestinese quanto fatto nella parte settentrionale in queste settimane di guerra. E, oltre a sottolineare la presenza di milioni di sfollati, i rappresentanti del governo Usa hanno anche chiesto alle forze armate dello Stato ebraico di evitare il più possibile vittime civili. Il monito, inoltre, è arrivato in concomitanza con la notizia dei primi aerei militari Usa per portare aiuti umanitari a Gaza attraverso l’Egitto. Un segnale che si aggiunge ai movimenti dei Paesi europei, tra cui l’Italia, e dei partner mediorientali: sempre più attivi sul fronte umanitario. L’impressione è che si siano aperti degli spiragli per una tregua di dieci giorni. Ma nella speranza che possa reggere anche il breve ma fondamentalmente prolungamento di 48 ore, la diplomazia sembra già al lavoro per la fase successiva. Netanyahu, in un’intervista al Die Welt, ha ribadito che intende sradicare Hamas e “smilitarizzare” la Striscia. E in questa nuova fase, sarà importante comprendere il ruolo della comunità internazionale nel dopoguerra e sul fronte umanitario.