Sono state ore frenetiche tra Israele e Hamas per prolungare la tregua di altri due giorni.
L’ipotesi di proseguire oltre i quattro giorni prefissati era già stata prevista dall’accordo della scorsa settimana. Una clausola del patto siglato in Qatar considerava infatti la possibilità di una proroga che prevedeva 24 ore in più di cessate il fuoco per ogni ulteriori dieci ostaggi liberati dalla Striscia di Gaza. Hamas, Israele, il Qatar, l’Egitto e gli Stati Uniti hanno così continuato a trattare per giorni, anche sotto la pressione delle Nazioni Unite e dell’intera comunità internazionale. E nel fine settimana, un primo segnale era giunto con la notizia di un aereo privato partito dall’emirato e che aveva raggiunto Israele dopo avere fatto scalo a Cipro.

A bordo del mezzo, secondo i resoconti dei media, doveva essere presente una delegazione il cui compito era quello di valutare lo sviluppo dell’accordo ma il suo possibile prolungamento. Tanto il governo dello Stato ebraico quanto Hamas non avevano mai negato la possibilità che la tregua venisse estesa. Tutto però dipendeva da due fattori: il pieno rispetto della tregua e degli accordi sugli scambi di prigionieri e ostaggi; e la capacità di Hamas di rintracciare altri sequestrati da inserire nelle liste accettate da Israele. Sotto il primo aspetto, le 96 ore di tregua si sono svolte nel rispetto dei termini previsti, sia da parte delle milizie palestinesi quanto delle Israel defense forces. Le Idf hanno continuato a operare nel nord della Striscia esclusivamente per mantenere il controllo dell’area delle operazioni, mentre nel sud dell’exclave palestinese i raid aerei si sono interrotti. Hamas, Jihad islamico palestinese, così come altri gruppi più o meno autonomi all’interno della Striscia e della città di Gaza, hanno dal canto loro evitato ogni attacco alle truppe di Israele e hanno interrotto i lanci di razzi contro le città dello Stato ebraico.

Ostaggi, la trattativa e l’arrivo di aiuti umanitari

Tutto questo ha reso possibile non solo l’arrivo degli aiuti umanitari nelle zone di guerra (secondo le organizzazioni circa 150 camion di beni di prima necessità), ma anche il trasferimento degli ostaggi israeliani. Donne e bambini consegnati alla Croce Rossa, condotti in Egitto attraverso il valico di Rafah e poi trasferiti in territorio israeliano scortati da militari e uomini dell’intelligence.
L’accordo di quattro giorni, come detto, ha funzionato, pur con alcuni momenti di tensione sulle liste. Ma è stato possibile anche perché Hamas aveva nelle sue mani ostaggi da poter consegnare a Israele. Nelle ultime ore della trattativa per prolungare la tregua, tuttavia, è subentrato un altro tema: la possibilità che l’organizzazione islamista non avesse il pieno controllo su tutti gli ostaggi e dunque avesse bisogno di tempo per individuarli in un’area in cui le comunicazioni e gli spostamenti sono estremamente complessi. Questo punto era stato segnalato anche dal primo ministro del Qatar, Mohammed Bin Abdulrahman Al-Thani, che al Financial Times aveva rivelato l’intenzione di Hamas di trovare circa 40 tra donne e bambini rapiti in Israele il 7 ottobre ma di cui aveva perso traccia.

In seguito, a parlare di questo aspetto era stato Khalil al-Hayya, il vice di Yahya Sinwar, leader di Hamas nella Striscia di Gaza e che secondo i media israeliani avrebbe anche incontrato alcuni ostaggi nel loro periodo di sequestro. Il vice di Sinwar ieri aveva affermato che Hamas era riuscita a localizzare dei rapiti che le avrebbero permesso di prorogare la tregua. E in tutto questo, è possibile che un ruolo lo abbia avuto il Jihad islamico: sigla che ha decine di ostaggi ed è inclusa nel negoziato. Se da Doha è arrivato il primo annuncio ufficiale sul prolungamento della tregua, Washington nel corso delle ore ha mostrato un misto di ottimismo e cautela. Il primo a intervenire è stato John Kirby, portavoce del Consiglio di sicurezza, che ha confermato l’estensione della tregua. Sul tema è tornato anche il presidente Joe Biden, che su X ha ricordato il suo impegno per avere una pausa nelle ostilità, accelerare l’assistenza umanitaria a Gaza e facilitare il rilascio degli ostaggi, ma anche segnalato di rimanere in costante contatto con i leader dei Paesi coinvolti nei negoziati per assicurarne il rispetto.

7 ottobre: esercitazione di Hamas segnalata invano

L’impressione è che la tregua serva anche a discutere della liberazione dei soldati rapiti (su cui ha aperto Hamas) e del futuro del conflitto a Gaza. A questo riguardo, ieri hanno parlato sia il premier Benjamin Netanyahu che il ministro della Difesa Yoav Gallant, che alle truppe ha detto che torneranno a combattere “in tutta la Striscia” e “con la stessa energia di prima o anche di più”. Indizio che Israele non ha dimenticato l’obiettivo di sradicare Hamas né di colpirla ovunque essa operi dopo quel 7 ottobre di cui escono ogni giorno altre verità. L’ultima è su un’esercitazione di Hamas in cui si dichiarava l’uccisione di tutti i residenti di un kibbutz. Esercitazione che un agente dell’intelligence aveva segnalato ai suoi superiori.