L’AD di Sogin, Gian Luca Artizzu, spiega a L’Economista come la Società sia pronta a offrire il proprio contributo per tornare a far produrre in Italia energia da fonte nucleare. Non solo. I siti delle quattro centrali nucleari oggi in dismissione nel nostro Paese sarebbero ideali per ospitare le centrali di nuova generazione e darebbero vita a distretti industriali strategici.

Qual è la posizione di Sogin riguardo al dibattito sul ritorno all’energia nucleare in Italia, visto il crescente interesse per la diversificazione energetica?
«Siamo una Società dello Stato che oggi lavora nella parte finale del ciclo di vita di questi impianti. Perciò la nostra posizione è assolutamente favorevole. Peraltro rappresentiamo il maggior presidio di competenze ed esperienze italiane nel settore. Da quando 38 anni fa sono state chiuse le centrali nucleari, Sogin ha continuato a conservare buona parte delle competenze operative, da impianto, ingegneristiche, chimico-fisiche, ambientali, utili non solo per il decommissioning, ma anche in uno scenario di ripartenza del nucleare. Grazie a questo, se chiedessimo oggi ai dipendenti del Gruppo Sogin se fossero pronti a tornare al nucleare, sono convinto che gran parte risponderebbe: ‘Anche oggi’!».

Qual è il ruolo che potrebbe giocare Sogin?
«Sogin non è un’azienda che costruisce reattori nucleari. Noi siamo conduttori di impianti e attendiamo di capire verso quale tecnologia ci si orienterà. In questo momento abbiamo quattro ex centrali nucleari in fase di smantellamento, siti preziosi sotto il profilo industriale e, ovviamente, nucleare. Sono siti costruiti con importanti difese idrauliche, in zone poco o affatto sismiche, su dorsali ad alta tensione e dotati di cabine primarie e sottostazioni elettriche, aree dotate dei migliori sistemi di sicurezza, barriere fisiche, no fly zone e prese d’acqua per il raffreddamento. Siti che potrebbero essere immediatamente reimpiegati».

GIAN LUCA ARTIZZU, AD SOGIN

Di recente avete presentato i risultati del «Piano a vita intera». Cosa è emerso?
«Il Piano vita intera è il piano di dismissione degli impianti nucleari italiani. Abbiamo rimesso ordine nella pianificazione. Un passaggio necessario, perché nel piano precedente c’erano evidenti discrasie. Infatti, nel 2020 il valore stimato di 8 miliardi da investire entro il 2042 per messa in sicurezza, combustibile e smantellamento non teneva conto di una serie di costi non evidenziati che un normale approfondimento ha fatto emergere, oltre all’impatto dell’inflazione. Ora l’impegno complessivo dal 1999 al 2052 è quantificato in 11,38 miliardi, di cui più di 5 già spesi. Il piano precedente, tra l’altro, prevedeva oltre 280 lavoratori in meno in Sogin a fine 2025, cosa irrealizzabile perché non consentirebbe di rispettare i criteri obbligatori di sicurezza dei nostri impianti. Un’operazione di serietà fortemente voluta dal vertice e dai nostri responsabili di impianto».

Cambia anche il timing?
«Sì, il nuovo piano tiene conto dell’allungamento di 10 anni per l’entrata in servizio del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Su questo punto ora siamo ben incanalati perché il Ministro Pichetto Fratin ha fatto un lavoro molto serio per incardinare il processo con un timing realistico».

Come immagina il futuro dei siti delle centrali e con quali vantaggi?
«Nulla vieta che si realizzino nuove centrali nucleari prima di aver completato i lavori di smantellamento delle vecchie. È infatti possibile avere contemporaneamente, sullo stesso sito, reattori in funzione, in smantellamento e in costruzione, grazie a tecniche di compartimentazione di cantieri e sistemi di sicurezza. La centrale nucleare di nuova generazione è piccola e modulare, perfetta per creare attorno a sé un ecosistema industriale, fatto di alte tecnologie, spesso energivore, come nei settori di acciaio, vetro, carta e data center basati sull’IA. I siti delle nuove centrali nucleari, in questo modo, saranno il volano per distretti industriali innovativi».

Paolo Bozzacchi

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