Giustizia
Giovanni Falcone top secret, da 31 anni sono sepolti in un cassetto gli appunti del più celebre Pm antimafia

“Buona parte degli atti del procedimento non ha avuto divulgazione mediante l’inserimento in fascicoli processuali o modalità equivalenti ed è, per di più, tenuto conto della materia trattata, sempre concreto oggetto di eventuali nuove indagini”. È quanto ha scritto nei mesi scorsi Salvatore De Luca, procuratore della Repubblica di Caltanissetta, ai giornalisti del Dubbio Damiano Aliprandi e del Quotidiano di Sicilia Roberto Greco in risposta alla loro istanza di accesso agli atti del procedimento sulla strage di Capaci e quindi ai “diari” di Giovanni Falcone.
Il diniego dell’istanza dei due giornalisti di prendere visione dei diari, in pratica degli appunti che il magistrato aveva scritto negli ultimi anni della sua vita, è solo l’ultimo in ordine di tempo.
Nei giorni scorsi avevamo raccontato l’imbarazzato silenzio del “segreto istruttorio” opposto dal procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco ai consiglieri del Consiglio superiore della magistratura che gli chiedevano conto dell’indagine sulla famosa fuga di notizie del 29 maggio 2019 quando il Corriere, Repubblica e il Messaggero, con articoli fotocopia, avevano pubblicato le intercettazioni allora in corso a Perugia sull’indagine a carico di Luca Palamara.
Ma avevamo raccontato anche la “dottrina De Pasquale” per come emerge da quanto dichiarato dal pm di Milano Paolo Storari al procuratore della Repubblica di Brescia Francesco Prete il 28 maggio 2021 in relazione alla “fuga dei verbali” resi dal noto avvocato e lobbista siciliano Piero Amara sulla cd Loggia Ungheria quando il magistrato milanese capì che non si doveva approfondire la vicenda e fece mettere a verbale: “Mi ricordo benissimo quello che De Pasquale (Fabio, procuratore aggiunto a Milano, ndr) mi ha detto … quello me lo ricordo … di tenere nel cassetto due anni questo fascicolo”. Non vorremmo, allora, che anche a Caltanissetta ci sia un “cassetto” dove riporre, lontano da occhi indiscreti, persino le memorie del miglior magistrato italiano tutti gli anni celebrato, in occasione della sua uccisione, con enfasi anche dall’Associazione nazionale magistrati.
I punti, secondo quanto riportato dall’allora giornalista di Repubblica Giuseppe D’Avanzo, in un articolo del 23 giugno del 1992, erano 39. Di questi se ne conosce qualcuno. Ad esempio, il rammarico di Falcone per l’assegnazione, decisa dal procuratore di Palermo Pietro Giammanco, delle indagini per l’omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo ad un giovane sostituto, la dottoressa Vincenza Sabatino (così avrebbe scritto Falcone: “Perché una indagine delicatissima come la riapertura dell’inchiesta sull’omicidio del colonello Russo fu affidata alla giovanissima Vincenza Sabatino?”).
Si conoscono i dubbi sull’ordine dato da Giammanco a Falcone per approfondire la vicenda Gladio, recandosi negli archivi del Sismi accompagnato “da uno dei suoi fidi sostituti”.
E si conosce la controversia che Falcone ingaggiò sempre con Giammanco dopo che il “nucleo speciale dei carabinieri consegnò in Procura il rapporto sulla mafia degli appalti”. A tale ultimo riguardo D’Avanzo aggiunse che si era trattato di “un lavoro certosino, durato anni che raccontava come tutti gli appalti di Palermo passano attraverso la mediazione di Angelo Siino, titolare di una concessionaria d’auto, uomo fidato dei Corleonesi”. Falcone valutò il rapporto con grande attenzione. Giammanco e i suoi sostituti più fidati con scetticismo. Anzi, con scherno. “Tanta carta per nulla, in questo rapporto non c’è scritto niente che merita di diventare inchiesta giudiziaria”, disse uno dei fedelissimi di Giammanco, senza essere però indicato dal giornalista.
Ebbene, tranne quelli sopra citati, dei rimanenti punti del “diario di Falcone” non si ha notizia, essendo custoditi nel famoso “cassetto” da 31 anni. Mai depositati nelle decine di processi che si sono celebrati per le stragi di Capaci e di via D’Amelio, mai consegnati ai familiari dei giudici uccisi, mai pubblicati dalla stampa forse per non dare un dispiacere a qualche magistrato. Resta quindi da chiedersi, consegnando la riflessione al Parlamento e al governo, che senso possa avere, nell’anno 2023, questo modo di agire che sembra anteporre i propri interessi conservativi a qualunque istanza di giustizia e finanche di umanità.
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