La “trattativa Stato-Mafia” è dura a morire. Anche se la Corte di Cassazione all’inizio del mese ha definitivamente assolto tutti gli imputati, ad iniziare dagli ufficiali dei carabinieri del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno accusati di essere venuti a patti con i boss di Cosa nostra per far cessare le stragi di mafia che nei primi anni Novanta insanguinarono l’Italia, i teorici della “trattativa” non demordono e, anzi, hanno deciso di rilanciare.

Fra gli aficionados, oltre al Fatto Quotidiano, merita di essere segnalata Antimafia Duemila, una rivista online che da oltre vent’anni si occupa di “riportare le informazioni che riguardano le maggiori mafie che infestano il nostro Paese e soprattutto di spiegare come queste agiscano e proliferino in stretta connessione con il potere politico, economico, istituzionale deviato e occulto”.

“Siamo convinti – si legge in home page – che tra coloro che ci governano oggi si nascondano i mandanti esterni di quelle stragi, coloro che hanno pianificato la Seconda Repubblica con lo specifico scopo di mantenere e di peggiorare lo stato di disequilibrio sociale in Italia e nel mondo a vantaggio di quei pochissimi che, secondo i loro piani, avranno diritto di usufruire delle limitate risorse che il nostro Pianeta, sfruttato a dismisura, ancora può offrire”.

Gli articoli di Antimafia Duemila, nonostante le tesi complottiste, finiscono, sicuramente a insaputa del vice presidente Fabio Pinelli, persona seria e poco avvezza a simili elucubrazioni mentali, nella rassegna stampa del Consiglio superiore della magistratura. Il direttore della rivista, Giorgio Bongiovanni, questa settimana ha scritto un durissimo articolo contro Mori dal titolo “le menzogne del generale”, lanciandosi in una difesa pancia a terra dei magistrati che negli anni hanno condotto l’inchiesta sulla trattativa.

Per descrivere meglio il contesto, però, è necessario tornare all’incontro del 24 maggio dello scorso anno al Teatro Golden di Palermo, organizzato da Antimafia Duemila, dove si diedero appuntamento i più osannati magistrati teorici del rapporto “Stato-Mafia” che avevano così voluto effettuare una commemorazione alternativa della strage di Capaci in contrapposizione a quella ufficiale che si svolgeva in contemporanea al Palazzo di giustizia.

A questa commemorazione alternativa avallata da Bongiovanni, che dichiara di avere le stigmate, di essere in contatto con gli ufo e di avere più volte parlato con la Madonna, parteciparono i magistrati Roberto Scarpinato, Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita in rappresentanza della Sicilia, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo in rappresentanza della Calabria, e il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli in rappresentanza della Toscana.

Queste toghe sono tutte legate fra loro per aver condotto indagini che proverebbero come lo Stato sia sceso a patti con la mafia, concedendo ai mafiosi vari benefici premiali e ottenendo in cambio una moratoria degli attentati degli anni 1992/1993, fino all’ascesa in politica di Silvio Berlusconi del 1994 auspicata, voluta e organizzata dalle cosche stesse che quindi non avrebbero avuto più alcun interesse a far esplodere le bombe nelle piazze italiane.

Ed infatti oltre al Leading case del processo trattativa palermitano, Lombardo ha impiantato a Reggio Calabria il processo gemello denominato “ndrangheta stragista” e Tescaroli, da circa trent’anni, prima a Caltanissetta e ora a Firenze si è impegnato a dimostrare la provenienza mafiosa del patrimonio di Silvio Berlusconi e il suo ruolo nelle stragi senza tuttavia mai essere riuscito a portarlo a giudizio ed anzi senza neanche averci provato. Inutile dire che questi magistrati hanno fatto carriere sfolgoranti.

Scarpinato, primo inventore della fattispecie con l’indagine denominata “Sistemi criminali” che ha alimentato gran parte della carta stampata per circa un decennio per poi essere archiviata da egli stesso, è andato in pensione dalla magistratura come Procuratore generale di Palermo per essere immediatamente arruolato dal Movimento 5 Stelle quale senatore della Repubblica; Di Matteo è stato destinato prima all’ambitissimo posto di sostituto procuratore nazionale antimafia per poi essere eletto al Csm nella corrente fondata da Piercamillo Davigo; Ardita è stato nominato in giovane età prima procuratore aggiunto di Messina, poi procuratore aggiunto di Catania, quindi eletto al Csm dopo essere stato anche vice capo del Dap; Lombardo è stato nominato procuratore aggiunto di Reggio Calabria a preferenza di altri magistrati di molto più anziani dei quali era stato uditore; Tescaroli è pure stato nominato procuratore aggiunto di Firenze per ragioni disvelate dalle chat intrattenute con l’ex ras del Csm Luca Palamara e con l’intermediario Pm romano Francesco Minisci, già segretario dell’Associazione nazionale magistrati. Invece di andare a caccia di improbabili teoremi, ipotizzando trattative inesistenti dietro le stragi, sarebbe quanto mai opportuna una lettura delle dichiarazioni dei magistrati Massimo Russo e Alessandra Camassa, che lavorarono con Paolo Borsellino, rilasciate nel 2017 davanti alla Commissione parlamentare antimafia.

Russo: «Io e Alessandra, quando Paolo Borsellino, che andammo a trovare ma non sappiamo fissare la data e le indagini non sono state in grado di identificare proprio la giornata esatta, che è rilevante per tante cose, andammo a incontrare Borsellino dopo la strage di Falcone (siamo a giugno, escludiamo che sia il giorno 12 giugno…)»
Camassa: «Io lo escludo».
Russo: «Anch’io».
Camassa: «Il 12 giugno è il giorno in cui abbiamo sentito il dottor Signorino, non è possibile…»
Russo: «O prima o dopo il 12 giugno Paolo Borsellino, che era stato il nostro procuratore, che era molto legato ad Alessandra perché Alessandra c’era stata più tempo, a un certo punto si abbatte proprio fisicamente sul divano, si mette a piangere e dice: un amico mi ha tradito. In quella stessa occasione, quando gli chiediamo come stia, aggiunge: a Palermo questa procura è un nido di vipere».
Per cercare la verità, spesso, non bisogna fare molta strada.