Raggiungiamo il Generale Mario Mori, 83 anni – a lungo comandante del Ros e poi direttore del Sisde – mentre sta uscendo dalla Cassazione. Commenta con soddisfazione, ancora a caldo, la sentenza con cui la Suprema corte ha messo la parola fine a un quarto di secolo di favole e invenzioni. La Trattativa Stato-mafia non è mai esistita.

Le voglio strappare un sorriso. Come vedrebbe l’introduzione del reato di Favoleggiamento mafioso?
(Ride). La battuta è bella, ma l’ha detta lei. Il favoleggiamento però c’è stato, eccome. È durato 27 anni, per quello che mi riguarda. Una storia che aveva visto già nel primo processo, quello sul favoreggiamento per Totò Riina, la comparsa di questo teorema della Trattativa Stato-mafia. Quello che poi è diventato a forza di ripeterlo un mantra, un titolo ricorrente, un continuo richiamo a complotti nascosti. Che la Cassazione ha stabilito, come noi dicevamo dall’inizio, non essere mai esistiti.

Oggi è soddisfatto, ma le hanno reso a lungo la vita impossibile.
Guardi, devo sfatare questa idea. Io sono sempre stato un agonista, da quando giocavo a pallone a quando facevo il mio mestiere nell’Arma. Un agonista che accetta le sfide e sa stare in campo. Mi sono trovato bene a combattere. E non ho mai avuto un cedimento. Adesso il problema è cosa farò da domani.

E si è fatto un’idea? Scriverà un libro, lavorerà, lei, stavolta, alla trama di un film?
Ci devo pensare, le energie non mi mancano. Certamente potrei mettermi a scrivere un libro che racconta la mia storia e non solo questa vicenda.

Come ha affrontato l’aula?
Sono sempre stato sereno: conosco il mio mestiere, sapevo di non aver mai fatto nulla che uscisse da quelli che sono i canoni di comportamento dei Carabinieri, quindi – forse non ci crederà – ma ho affrontato il processo con l’animo tranquillo e sicuro di chi sta dalla parte della ragione e della legge, da sempre.

Tanta solidarietà, subito dopo la notizia della sua assoluzione, da parte di tutti. Chi l’ha colpita di più?
Mi stanno arrivando adesso, mentre parliamo, molte decine di messaggi. Voglio ringraziare chi si è schierato dalla mia parte quando le cose erano meno definite. Il Riformista e il suo direttore Sansonetti, ad esempio. Voi ci siete sempre stati. E voglio ringraziare le persone semplici che mi hanno creduto dall’inizio e tutti i Carabinieri: l’Arma c’è sempre stata. Oggi in aula era pieno di miei ex collaboratori e dipendenti che sono venuti spontaneamente a farmi sentire che c’erano. Ed è la migliore soddisfazione che ho avuto: chi ha lavorato con me non ha mai potuto credere un minuto alle accuse.

Cosa direbbe ai suoi detrattori, invece?
Mi chiedo adesso cosa si inventeranno? Spero che la piantino. E che trovino argomenti migliori per vendere le copie dei loro giornali e dei loro libri.

Un insegnamento, un monito che trae da questa vicenda?
L’importante è fare sempre il proprio dovere al meglio. Molte volte si può farlo bene, altre si può sbagliare: quel che più conta è fare le cose in coscienza. Agendo così, non si può avere paura di nessuno.

Soddisfatto anche per i suoi coimputati?
Certo, per tutti. Per il generale Antonio Subranni la soddisfazione è doppia perché noi abbiamo svolto delle indagini e arrestato delle persone, lui dalla sua posizione non ha fatto neanche quello. Non abbiamo mai capito perché hanno voluto inserire anche lui nel procedimento.

La vicenda che riguarda Dell’Utri, non ce lo nascondiamo, si ammanta di una coloritura politica.
Quando c’è di mezzo la politica, il discorso scantona sempre nella coloritura. Sono molto soddisfatto anche per lui e naturalmente gli mando un abbraccio.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.