“’Ndrangheta stragista”, il processo fantasma di cui nessuno parla. È il racconto dei “pentiti” a nutrire il fiume in piena del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, che parla per ore in diverse udienze. Siamo nella corte d’assise d’appello che deve giudicare, in apparenza, due imputati già condannati all’ergastolo nel processo di primo grado per aver fatto assassinare due carabinieri.

Questa è l’apparenza, perché in realtà anche qui si sta celebrando il processo del secolo, la storia d’Italia riscritta dal pubblico ministero e dai “pentiti”. Se qualcuno pensava che il processo “Trattativa” fosse terminato a Palermo con le assoluzioni e il disvelamento di una bufala cui avevano creduto i pm Ingroia, Di Matteo e Scarpinato ma non i giudici, quel qualcuno era un illuso. Il processo “Trattativa” ha un gemello fotocopia a Reggio Calabria e si chiama “’Ndrangheta stragista”. Il teorema serve a prolungare fino al 1994 la stagione delle stragi attraverso una sorta di fusione tra Cosa Nostra e la ‘ndrangheta, che si sarebbero messe insieme con le figure di Giuseppe Graviano, boss del Brancaccio di Palermo e Rocco Santo Filippone, in rappresentanza della cosca Piromalli di Gioia Tauro.

I due sarebbero stati i mandanti di un attentato in cui persero la vita due carabinieri, Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, il 18 gennaio del 1994. Nessun dubbio sugli esecutori materiali, malavitosi locali già giudicati e condannati da tempo. Ma nel 2017, su impulso della Direzione antimafia di Reggio Calabria diretta da Federico Cafiero De Raho, nasce il teorema che ribalta il movente del delitto e svela l’esistenza dei mandanti. Partono intercettazioni a raffica e spuntano i “pentiti”, alle cui fila si aggregheranno con lesta furbizia anche gli autori degli omicidi che cambieranno d’improvviso la propria versione dei fatti.

In pratica la ‘ndrangheta avrebbe fatto un favore a Cosa Nostra dei corleonesi e al papello di Riina, consentendo così di allungare fino all’inizio del 1994 e alla nascita ufficiale di Forza Italia la stagione delle stragi. Che si sarebbero fermate una volta raggiunto l’obiettivo, cioè un ricambio di classe politica come gradito alla mafia. Gli omicidi dei carabinieri non sarebbero stati quindi obiettivi di malavita locale, ma un passaggio di una strategia più ampia che mirava al cuore dello Stato attraverso un suo simbolo. Il ricatto della “trattativa”. “Non soltanto una vicenda processuale, ma molto di più” ha detto il pm Lombardo nella requisitoria. Perché si tratterebbe di “fatti per i quali il tempo non passa e che rappresentano un eterno presente in cui riscontriamo accadimenti che non possiamo non considerare attuali”.

Pare credere davvero, il procuratore Lombardo, a una serie di fantasticherie di qualche “pentito”, costretto come è a ragionamenti che avrebbero fatto invidia ai Sofisti greci. L’esempio più lampante è quello del collaboratore Girolamo Bruzzese, quello che avrebbe assistito quando era bambino a un summit sulla Piana di Gioia Tauro tra il boss di ‘ndrangheta Piromalli, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi. Il piccino avrebbe riconosciuto subito il segretario del Psi e l’imprenditore brianzolo perché li aveva visti in tv. Poi, diventato più grandicello, avrebbe raccolto le confidenze del padre che aveva ospitato l’incontro nell’agrumeto, che gli aveva spiegato che Craxi aveva raccomandato Berlusconi a Piromalli per una sua entrata in politica. Perfetto. Sapete che anno era? Il 1978, subito dopo il rapimento Moro.

Senza il timore del ridicolo il procuratore Lombardo ha depositato al processo d’appello il verbale del “pentito” Bruzzese anche nella parte in cui si fa storico ed esibisce le proprie opinioni sui rapporti tra la mafia e la politica. E spiega che i corleonesi “non accettavano più la politica di Craxi e Andreotti di contrapposizione agli Stati Uniti; questa politica era avversata anche dagli americani, ma soprattutto non andava bene a Licio Gelli, molto amico di Peppe Piromalli” . Ma questo processo è stato confezionato così. E sarà interessante verificare, visto che già la cassazione aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Graviano, se la Corte d’assise d’appello si allineerà a quella del primo grado che aveva condannato i due presunti mandanti parlando di “comune progetto criminale” di ‘ndranghetisti e corleonesi. O se invece darà la spallata al teorema “trattativa” come accaduto a Palermo. La sentenza è attesa per il 10 marzo.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.