Signor presidente della Repubblica, l’amministrazione della giustizia è abbandonata a diffuse e incontrastate pratiche di usurpazione e corruttive, a un andazzo di malversazione che non si manifesta in episodiche irregolarità ma nella norma di una clandestinità delittuosa ed eversiva che attenta all’ordine costituzionale e all’effettività della stessa legalità repubblicana. È una situazione che implica e pone in pericolo l’unità nazionale che lei rappresenta, i diritti dei cittadini soggetti alla legge così platealmente profanata, la credibilità delle istituzioni pubbliche in cui essi dovrebbero riconoscersi: una situazione, signor presidente, che implica e pone in pericolo la sua stessa funzione.

Lo Stato di diritto, signor presidente, non è veramente pregiudicato quando incontra il tentativo di indebolirlo e nemmeno quando trova ragioni di revoca effettiva in qualche aberrazione del potere pubblico: è veramente pregiudicato quando rinuncia ad affermarsi e quando chi l’ha in cura assiste senza reagire all’opera di chi lo devasta. Esiste non il sospetto, non la vociferazione, non l’ipotesi, ma la conclamata certezza che l’amministrazione della giustizia è governata da organizzazioni di potere che operano illegalmente in una diuturna attività di turbativa dei procedimenti per la distribuzione degli incarichi, per le allocazioni negli uffici di vertice, per le sistemazioni di carriera, e nel simultaneo lavorìo di collusione intimidatoria con il sistema politico e dell’informazione.

Tutto questo, signor presidente, avviene mentre rappresentanti di rango delle magistrature si lasciano andare alle più scostumate esposizioni sulla scena pubblica, esercitando in modo minaccioso il diritto inesistente di elevarsi a controparte del potere rappresentativo e rivendicando una funzione altrettanto inesistente di tutela sociale che pretende di accreditarsi nel rapporto tribunizio con l’opinione pubblica.

La ritenutezza, signor presidente, la cautela e i cimenti di persuasione morale, vanno bene per il sapiente controllo delle cose ordinarie e per la proficua gestione dell’agenda comune: cessano di andar bene se sono adoperati, o anche solo percepiti, come strumenti di sopimento. Dovrebbe essere sua urgente preoccupazione impedire che quella percezione si diffonda ulteriormente, e per impedirlo c’è un solo modo: l’esercizio dei poteri e delle facoltà che la Costituzione della Repubblica attribuisce a chi la presiede.