Nel Si&No del Riformista spazio al dibattito sull’abolizione del test d’ingresso alla facoltà di Medicina. Favorevole il Professore Ordinario Università di Genova Matteo Bassetti: “Siamo un Paese vecchio, abbiamo bisogno di medici, nei pronto soccorso non ci sono più infermieri”, il suo allarme. Contrario il Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania Pietro Castellino: “Se il numero diventasse libero la nostra laurea perderebbe il riconoscimento europeo”.

Qui l’opinione di Matteo Bassetti

Il numero chiuso aveva riguardato anche me. Nei primi due/tre anni c’era un numero di domande inferiore ai numeri posti in quel momento. Dall’inizio degli anni ’90 c’è stato un boom delle iscrizioni a Medicina perché c’era la convinzione che non ci fossero medici disoccupati. Ma soprattutto chi si laureava in Medicina poi faceva una scuola di specializzazione con la remunerazione. Questo ha portato molta gente a iscriversi alla facoltà. Tuttavia questo assioma ha portato a perdere per strada molti di coloro che erano mossi da un sentimento di passione.
Noi dobbiamo ripensare innanzitutto a quello che è il fabbisogno dei medici. Perché se è vero che c’è bisogno di medici, allora la riflessione è scontata: non si può mettere un limite di 15mila posti. Il motivo? Non è detto che dopo sei anni tutti escano riuscendo a laurearsi. C’è chi perde un esame, chi ne perde due, chi va fuori corso, chi si stufa, chi cambia idea. C’è un lordo e c’è un netto. Il modo in cui si fanno i conti è inappropriato.

È giusto che per entrare a Medicina – dove io devo insegnarti la biologia, la fisica, l’istologia – le domande vertano sugli insegnamenti del primo anno di Medicina? È come dire: se vuoi iscriverti a un corso di nuoto devi saper nuotare. Il test d’ammissione è fatto per una buona parte su materie che noi dovremo insegnare. E qual è l’unico modo per avere quei fondamentali? Siccome la scuola italiana superiore (qualunque essa sia) non è in grado di darti quel tipo di insegnamenti, inevitabilmente devi andare a versare migliaia di euro per fare dei corsi che ti preparino per i test. Quindi si è inscenato un business enorme sui corsi di preparazione per il test d’ammissione. Più paghi, più entri. Non è più un test meritocratico sulla base della propria mente, ma sulle singole disponibilità economiche.

Le altre domande, ad esempio sulla cultura generale, non hanno un grande senso: se vuoi fare un testo per misurare davvero le capacità del ragazzo devi fare un test d’intelligenza come fanno negli Stati Uniti. Un test di prontezza e di praticità per vedere se è effettivamente in grado di usare il cervello.

Quanto alla scarsa capacità delle aule di accogliere un numero elevato di studenti, sul tavolo vi sono diverse possibilità da prendere in considerazione per intervenire in tal senso. Un’idea potrebbe essere lo sbarramento al secondo anno: al primo anno – in cui ci sono insegnamenti fondamentalmente di tipo teorico, dove non c’è bisogno di pratica – si potrebbe far entrare tutti anche con dei corsi online e poi chi non ha sostenuto tutti gli esami vuol dire che non potrà iscriversi al secondo anno. Un sistema alla francese, una selezione di tipo progressivo: faccio entrare tutti quelli che hanno la passione, ma se poi non sei in linea non ti iscrivi all’anno successivo.

L’alternativa è un sistema all’americana o alla tedesca: lo studente vai a prenderlo tu. L’università deve avere l’interesse a portare a casa i più bravi, chi si laurea in tempo, chi esce con 110 e lode, chi fa la specializzazione, chi entra nel mondo del lavoro. Perché quell’università più prende gente di questo genere e più sale nel ranking.

Oggi, così com’è fatta, la selezione è veramente un salto nel buio: se togli chi arriva ai primi 50 o 100 posti, per gli altri è un terno al lotto perché con il test a crocette non è per nulla meritocratico. Da medico dico che c’è gran bisogno nei nostri ospedali di avere quelli che non avevano saputo rispondere nel 2006 a quando è stata combattuta la prima Guerra Punica, qual è il Teorema di Pitagora o qual è una determinata formula chimica. Avremo un gran bisogno di quelli che abbiamo fatto scappare.

A chi sostiene che tutto ciò sarebbe irrealizzabile rispondo in maniera chiara e semplice: è irrealizzabile soltanto qualcosa che non si vuole realizzare. Di certo non possiamo affermare che tutto sarebbe semplice e che si potrebbe partire già da domani. Ma non è più il tempo di rimandare un argomento così delicato e oggi dobbiamo aprire una riflessione seria e profonda sul tema. Magari si può guardare all’orizzonte dei prossimi anni, ma il progetto va messo in cantiere esattamente in questo momento. Dobbiamo trovare il modo di avere a disposizione i fondi. Siamo un Paese vecchio, abbiamo bisogno di medici, nei pronto soccorso non ci sono più infermieri. Non possiamo continuare con l’acqua alla gola seguendo la scia del sistema attualmente in vigore. È una cosa paradossale: in linea teorica ci affrettiamo tutti a sottolineare l’urgenza di medici, però nella realtà dei fatti ne facciamo entrare sempre di meno. Quest’anno il ministero dell’Università e della Ricerca ha proposto oltre 19.000 posti per i corsi di Medicina e Chirurgia. Un aumento che, se fosse confermato e dovesse diventare realtà, metterebbe a segno un incremento di circa 4mila posti rispetto allo scorso anno accademico. Questo rappresenta senza alcun dubbio un buon segnale, ma andrebbe inteso come un solo punto di partenza: prossimamente non ci si potrà sottrarre alla necessità sempre più impellente di ampliare ulteriormente il numero d’accesso.

Matteo Bassetti (Professore Ordinario Università di Genova)

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