La guerra tra Hamas e Israele si è da subito contraddistinta per non essere racchiusa nei soli confini della Striscia di Gaza. Nell’exclave palestinese, le Israel defense forces continuano la loro operazione militare con bombardamenti aerei e avanzate via terra, adesso concentrate soprattutto a sud nei pressi di Khan Younis. A nord e a Gaza city, proseguono invece i raid contro le basi di Hamas e del Jihad islamico palestinese, mentre è iniziato l’allagamento dei tunnel con l’acqua marina.
L’epicentro del conflitto resta quindi la Striscia, dove le Idf hanno ammesso di avere ucciso per un tragico errore tre ostaggi scambiati per miliziani nell’area di Shejaiya. Ma la guerra, come visto, ha assunto immediatamente una valenza regionale (oltre che mondiale), con ricadute in Cisgiordania, Libano e in tutte le aree dove si combatte la sfida tra Israele e i suoi rivali. Le notizie degli ultimi giorni certificano questo aspetto.

Il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, dopo avere visitato Israele è sbarcato in Cisgiordania e ha incontrato il leader dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas. Joe Biden ha sempre temuto un allargamento del conflitto, e da tempo mostra preoccupazione sia per la crescita di Hamas in quei territori sia per la violenza dei coloni radicali israeliani. Per Washington è essenziale che l’Anp resista e cambi per garantire la sicurezza dei palestinesi e di Israele, al punto che gli uomini di Biden hanno indicato proprio questa istituzione come la possibile futura guida della Striscia di Gaza. Abu Mazen ha ribadito a Sullivan che la soluzione dei due Stati si fonda su una Palestina che comprenda Cisgiordania, Gerusalemme est e Striscia. E il consigliere Usa, a Tel Aviv, aveva ribadito la linea del suo governo dicendo di non ritenere “che abbia senso per Israele, o sia giusto per Israele, occupare Gaza, rioccupare Gaza a lungo termine”. Frase che ha certificato quindi la divergenza con il governo guidato da Netanyahu. Ma le ultime dichiarazioni del premier israeliano, così come il pericolo di una Hamas sempre più forte in tutti i territori palestinesi, gettano un’ombra sulla riuscita del piano statunitense, innescando diversi interrogativi.

Preoccupa inoltre la tensione esplosa a Gerusalemme, con i lanci di razzi che dalla Striscia di Gaza hanno raggiunto la città. Tre missili sono stati intercettati dal sistema Iron Dome e l’attacco è stato rivendicato dalle brigate al-Qassam di Hamas come risposta al “massacro di civili” di cui accusa Israele. Resta alta anche la preoccupazione per gli sviluppi sul fronte nord, quello che vede coinvolto il Libano e in particolare la milizia sciita di Hezbollah. Ieri il vicepresidente del consiglio esecutivo del Partito di Dio, Ali Daghmush, ha assicurato la continuazione della lotta al fianco dei palestinesi. Ma sia da parte israeliana che da parte statunitense sono arrivate dichiarazioni molto chiare. Il generale Benny Gantz, adesso parte del governo di emergenza, ha detto che “se il mondo non riuscirà ad allontanare Hezbollah dal confine, lo farà Israele”, sottolineando la necessità che la milizia legata all’Iran non rappresenti più una minaccia per le comunità dello Stato ebraico.

Le Idf ieri hanno di nuovo colpito le postazioni della milizia nel sud del Libano, mentre diversi razzi sono partiti in direzione di alcune comunità israeliane. Sul tema è intervenuto anche Sullivan, che ha sottolineato come la questione di Hezbollah vada certamente affrontata ma “con la diplomazia”, e che “non richiede l’inizio di una nuova guerra”. Mentre i confini dello Stato di Israele ribollono, a preoccupare è poi la crescente tensione nel Mar Rosso e nello stretto di Bab el-Mandeb. Gli attacchi lanciati dallo Yemen da parte degli Houthi pongono molti rischi per la libertà e la sicurezza della navigazione, e destano allarme sia tra le compagnie private che tra gli Stati. Il portavoce militare della milizia ha rivendicato ieri un nuovo attacco contro due navi dirette verso Israele, la Msc Alanya e la Msc Palatium. La compagnia Maersk ha annunciato la sospensione dei viaggi attraverso Bab el-Mandeb a seguito dell’incidente della Maersk Gibraltar e degli altri attacchi di questi giorni, e lo stesso ha fatto la Hapag-Lloyd.

Il dossier yemenita è al centro delle discussioni tra cancellerie occidentali e mediorientali. Venerdì, durante la conferenza stampa in Israele, Sullivan ha assicurato che “gli Stati Uniti stanno lavorando con la comunità internazionale, con i partner della regione e di tutto il mondo per affrontare questa minaccia”, ricordando che gli Houthi “premono il grilletto della pistola consegnata dall’Iran”. Tra gli obiettivi di questo lavoro diplomatico, vi è l’ipotesi di creare di una task force navale che metta in sicurezza quelle rotte. La via del Mar Rosso, infatti, non interessa solo i Paesi rivieraschi (e in primis Israele per il porto di Eilat) ma tutti gli Stati coinvolti nei flussi commerciali che attraversano il canale di Suez.