Una mossa attesa ma non priva di conseguenze. Irlanda, Norvegia e Spagna, in un’azione coordinata dei rispettivi governi, hanno annunciato ieri il riconoscimento dello Stato di Palestina. “È giunto il momento di passare dalle parole ai fatti”, ha detto il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez annunciando la decisione del suo governo. “Riconosceremo lo Stato di Palestina per la pace, per coerenza e per la giustizia”.

“La cosa giusta da fare”, l’ha definita il ministro degli Esteri norvegese, Espen Barth Eide. “Oggi affermiamo chiaramente il nostro inequivocabile sostegno all’eguale diritto alla sicurezza, alla dignità e all’autodeterminazione per i popoli palestinese e israeliano”, ha invece scritto su X il ministro irlandese Michael Martin. Una svolta per certi versi rivoluzionaria quella dei tre Paesi. E che apre una nuova faglia all’interno di un’Europa e di un Occidente particolarmente in fibrillazione sul fronte dei rapporti con lo Stato di Israele e con le istanze palestinesi. E che ora vedono Dublino, Madrid e Oslo muoversi in una direzione univoca ma con una rotta dai contorni ancora poco chiari.

Il riconoscimento di uno Stato, dal punto di vista giuridico, non ha in questo caso un’efficacia di grande impatto. Già molti paesi riconoscono l’esistenza di uno Stato palestinese, ma nel caso di questa entità, i giuristi e gli esperti sottolineano che mancano degli elementi costitutivi indispensabili. In primis un territorio definito, in secondo luogo un’autorità in grado di gestire il potere, posto che la Striscia di Gaza è controllata da Hamas e vive in una quasi completa autonomia rispetto alla Cisgiordania guidata dall’Autorità nazionale palestinese.

Tuttavia, se le conseguenze giuridiche possono essere “limitate”, diverso è il peso politico di questa mossa. Innanzitutto il riconoscimento avviene questa volta da parte di tre paesi pienamente inseriti nel sistema occidentale. E ciò può creare una spaccatura all’interno del blocco euro-americano. Le reazioni in questo senso sono state chiare. La maggior parte dei paesi membri dell’Unione europea e della Nato ha detto di ritenere un errore riconoscere allo stato attuale un’entità come quella palestinese. Lo stesso Belgio, che nei giorni scorsi era considerato uno dei paesi più vicini al riconoscimento (specialmente dopo il sostegno espresso al lavoro del procuratore della Corte penale internazionale, che ha richiesto mandati di arresto nei riguardi anche di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant), ha parlato di tempistiche sbagliate.

Da Parigi, il ministro degli Esteri Stéphane Séjourné ha detto che “il riconoscimento della Palestina non è un tabù per la Francia”, ma “questa decisione deve essere utile, cioè permettere un progresso decisivo a livello politico” e “deve arrivare al momento giusto, in modo che ci sia un prima e un dopo”. E la Slovenia è l’unico paese membro dell’Unione europea e dell’Alleanza atlantica ad avere detto che seguirà a breve il comportamento di Spagna, Norvegia e Irlanda. L’imbarazzo tra i governi occidentali è evidente. E anche se gli Usa cercano di arrivare a un accordo quadro con l’Arabia Saudita che normalizzi i rapporti con Israele in cambio di un progressivo riconoscimento di un futuro Stato palestinese, al momento anche da Washington non sono arrivate indicazioni positive riguardo la mossa degli alleati europei.

Alla spaccatura del fronte occidentale, si aggiunge poi il tema non secondario delle tempistiche di questa scelta. Dal momento che il riconoscimento avviene in pieno conflitto tra Israele e Hamas. E con il governo di Benjamin Netanyahu che è sotto pressione da mesi per il modo in cui è condotta la guerra nella Striscia di Gaza e per l’assenza di una strategia postbellica che preveda proprio la soluzione dei due Stati. Quantomeno come obiettivo finale di una pacificazione tra le parti.

Per il governo dello Stato ebraico, la mossa dei tre paesi europei non è un fulmine a ciel sereno, visto che da tempo – soprattutto Madrid e Dublino – sono tra i più fermi critici delle politiche di guerra imposte dal governo israeliano. Tuttavia, se Israele ha deciso di richiamare gli ambasciatori nei tre Paesi per “consultazioni”, è chiaro che Netanyahu deve fare i conti con una posizione che si fa via via più debole. Da tempo gli analisti si interrogano sulla capacità di Bibi di spezzare un isolamento crescente del suo esecutivo rispetto alla comunità internazionale e ai suoi maggiori alleati.

E una crepa come quella del riconoscimento della Palestina da parte di tre paesi europei è un campanello d’allarme che non può essere sottovalutato. Né da parte dello stesso premier, né da parte dell’opposizione israeliana. Ieri, dopo l’annuncio di Irlanda, Norvegia e Spagna, Netanyahu ha dichiarato che “una ricompensa per il terrorismo non porterà la pace, e non ci impedirà nemmeno di sconfiggere Hamas”. Ma per il governo a guida Likud e con una sempre maggiore trazione dell’ultradestra, la pressione internazionale inizia a essere sempre più alta.