Il caso di Yevhen Lavrenchuk, il regista ucraino raggiunto a dicembre scorso da un ordine di cattura internazionale spiccato dalla Russia e tornato libero agli inizi di marzo, sta per essere definito. I giudici dell’ottava sezione della Corte d’appello si sono riservati la decisione e a giorni dovranno pronunciarsi sulla richiesta di estradizione avanzata dalla Federazione Russa. Una richiesta contro la quale si sono già espressi la Procura generale di Napoli e la ministra della Giustizia Marta Cartabia dicendo no all’estradizione del regista teatrale ucraino.

In particolare, la Cartabia, rispondendo all’interrogazione parlamentare dal deputato di +Europa Riccardo Magi, aveva sottolineato che «gli attuali rapporti tra la Federazione Russa e l’Ucraina inducono a ritenere sussistente e concreto il rischio che, in caso di estradizione, Yevhen Lavrenchuck, che si è dichiarato oppositore politico del presidente russo Putin e ha assunto in passato posizioni di netta critica all’annessione della Crimea da parte della Federazione Russa, possa essere sottoposto, in ragione della sua condizione di cittadino ucraino oppositore politico, a trattamenti ai diritti fondamentali della persona, compreso il diritto di difesa». Sul risvolto politico del caso si è espresso ieri anche l’avvocato Alfonso Tatarano, difensore del regista ucraino, prendendo la parola nell’udienza celebrata ieri dinanzi all’ottava sezione della Corte d’appello di Napoli. La difesa ha motivato la posizione di Yevhen Lavrenchuk evidenziando come nei suoi confronti sia in atto una persecuzione politica mascherata da procedimento giudiziario. «Alla Corte chiedo non solo di considerare i pericoli a cui Yevhen Lavrenchuk sarebbe esposto se estradato, come evidenziato anche dal procuratore generale di Napoli e dalla ministra Cartabia, ma – spiega l’avvocato Tatarano – chiedo anche di valutare il carattere strumentale della richiesta di estradizione da parte della Federazione Russa, perché è una richiesta per fini politici mascherata da richiesta per reati comuni».

Del resto assai generica e fumosa appare l’accusa che l’autorità russa contesta al regista teatrale ucraino: «Frode su larga scala». Un’accusa riferita al periodo tra il 2013 e il 2014 quando Lavrenchuk era direttore del teatro polacco di Mosca. Secondo l’autorità russa, il regista avrebbe usato per scopi personali soldi presi in prestito da uno studente per ristrutturare il teatro. Lavrenchuk, invece, nega fermamente tale accusa e si ritiene vittima di una persecuzione politica per le opinioni espresse sull’occupazione della Crimea. All’udienza di ieri a Napoli il regista era presente. Quando fu scarcerato, il 3 marzo scorso, assicurò infatti che non avrebbe lasciato l’Italia, che sarebbe rimasto ad attendere la decisione dei giudici di Napoli e che intanto avrebbe proseguito l’impegno per il suo Paese. Lavrenchuk ha trascorso due mesi e mezzo da recluso, prima nel carcere di Poggioreale e poi agli arresti domiciliari. Da due settimane è libero. Ora la sua storia si intreccia inevitabilmente con la terribile guerra in Ucraina scatenata da Putin.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).