Il caso Becciu è un fatto vero, naturalmente, anche se sembra un romanzo magari avente per titolo “I sotterranei del Vaticano”, come il romanzo di Gide. Ma sotto l’aspetto un po’ pirandelliano c’è una reale vicenda intricatissima, dai risvolti inquietanti e dagli interrogativi (giuridici, politici, morali) forse insolubili. È una gran matassa ardua da sbrogliare e anche da raccontare. Ma grazie a una mole impressionante di notizie fa esattamente questo Mario Nanni con “Il caso Becciu – (In)Giustizia in Vaticano” (Mediabooks), un libro-dizionario che è anche un pamphlet critico che entra in tutti i meandri della vicenda.

Nanni è un giornalista di lungo corso che legge e interpreta le notizie senza tralasciare nulla. E – seppur il suo lavoro sia dichiaratamente di parte, cioè dalla parte di Becciu – il quadro che ne esce è davvero esaustivo. E dunque l’”affaire Becciu” si è concluso con la sentenza di primo grado che lo ha condannato a 4 anni e mezzo di reclusione per due peculati e una truffa aggravata. Il processo – durato 29 mesi e scandito da 86 udienze – ha avuto al centro la compravendita disastrosa di un palazzo a Londra, in Sloane Avenue, e in generale gli investimenti della segreteria di Stato quando Becciu ne era Sostituto, dal 2011 al 2018. Nella storia c’entrano anche 125mila euro dati alla Caritas di Ozieri, diocesi del cardinale, e molto altro denaro per la liberazione della suora colombiana Cecilia Narváez, rapita in Mali da terroristi nel 2017.

Il peculato, si chiarisce nelle motivazioni della sentenza depositata a fine ottobre del 2024, è un reato che sussiste anche se l’imputato non ha incassato soldi per sé e quindi non c’è una «finalità di lucro» personale. Peculato ma non per sé: già questa è un’anomalia? Nelle motivazioni appare «il criterio della diligenza del buon padre di famiglia», che – tradotto – significa «una amministrazione prudente, volta innanzitutto alla conservazione del patrimonio, anche quando cerca di accrescerlo, valutando le occasioni di guadagno pur se parametrate a una eventuale e comunque contenuta possibilità di perdita». È questa, in fondo, la colpa più grave attribuita al cardinale: aver favorito con troppa leggerezza un investimento rischioso per le finanze vaticane.

Nanni insiste moltissimo sulla contraddittorietà della sentenza, e lo fa con dovizia di argomenti. Impossibile dire chi abbia ragione. L’aspetto forse più inquietante e ricco di conseguenze è quello del meccanismo giudiziario nel quale Becciu si è trovato in qualche modo stritolato. Scrive l’autore: «Sono state ravvisate molte anomalie: tra queste il cambio, per quattro volte, delle regole processuali mentre si svolgeva il processo. E forte (è) l’impressione di una sentenza già scritta, dato che non era stato riservato alcuno spazio alle circostanze risultate favorevoli al cardinale e comprovanti la sua innocenza».

Sia come sia, il libro di Nanni solleva seri interrogativi sul funzionamento della giustizia vaticana. La vicenda viene presentata come un possibile punto di svolta, un momento che potrebbe portare a una riflessione più ampia sulla necessità di riforme istituzionali. Tutto questo non può non riguardare la figura del Papa, che d’altronde ha avuto un ruolo importante in una storia che – com’è noto – ha visto una moltitudine di personaggi ambigui, una sfilza di testimonianze e racconti assai dubbi quando non evidentemente falsi. Pirandello, Balzac, Kafka: certi paragoni effettivamente calzano.

Resta inevasa la domanda delle domande che Nanni pone: «Che cosa c’è VERAMENTE dietro il processo Becciu? Qual è il movente vero che ha innescato una macchina del fango, quella che lo stesso processo ha mostrato essere una macchinazione ordita ai danni del cardinale sardo?». Addirittura un tentativo di colpire Bergoglio? O “solo” un meccanismo ordito da personaggi infingardi? Lo sapremo mai? Molto probabilmente, no.