La fama del vino siciliano in Italia e nel mondo
Il continente del vino, a Erice l’edizione post-pandemia di Sicilia en Primeur
I vigneti a perdita d’occhio del territorio di Alcamo. Le vigne terrazzate dei suoli lavici sull’Etna. Gli alberelli dell’isola di Pantelleria. I filari che degradano lentamente verso il mare africano. I vigneti che si arrampicano sulle colline delle aree interne. Quelli che affondano nelle sabbie del territorio di Vittoria. E poi la grande varietà di vitigni autoctoni. Lo Zibibbo dei profumi. Il Catarratto ampio e nobile. Il Grillo che ricorda gli agrumeti vicino al mare. Il Nero d’Avola, con i suoi diversi cloni, dalle molteplici espressioni legate alle specificità delle diverse province. Il Nerello Mascalese che graffia come la pietra lavica. Il Carricante che sa di alta montagna. Il Frappato snello, gentile ed elegante. “La Sicilia è un continente in miniatura. La sua diversità sarà la chiave del nostro futuro. Quindi bisogna mettere al centro la vite, il suo studio, la sua evoluzione”, dice Laurent de la Gatinais, presidente di Assovini Sicilia.
C’è del vero in questa affermazione. Che è insieme profondamente pratica, squisitamente tecnica e nobilmente letteraria.
Sicilia, continente del vino
Scriveva lo scrittore Gesualdo Bufalino: “Vero è che le Sicilie sono tante, non finiremo mai di contarle. Vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle
saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava”. La Sicilia. Terra marcata da un’identità fortissima, unica e inimitabile. Ma, allo stesso tempo, terra delle mille diversità. Culturali, frutto delle stratificazioni storiche. Ma anche geografiche e territoriali: dal calcare candido
di Siracusa e Noto, alle sciare nere di Catania, alle terre rosse di Trapani.
Infine, climatiche: dall’arsura del triangolo del sole africano di Pachino, al freddo delle vette del vulcano, ai venti che battono le colline e le isole minori. In questo contesto spettacolare, la vite è presente ovunque: da Marsala a Trapani, da Salaparuta a Palermo, da Menfi a Comiso, da Agrigento a Vittoria, da Milo a Siracusa, da Capo Faro a Noto, dall’isola di Pantelleria al vulcano Etna, passando per le Eolie. Grazie a questa estensione e a queste diversità la Sicilia può vantare oltre 70 varietà di vitigni autoctoni: dal Nero d’Avola al Nerello Mascalese, dal Frappato al Catarratto, dal Grillo all’Inzolia, dallo Zibibbo al Moscato, dal Carricante alla Malvasia. Questi insieme a quelli fanno dell’isola, appunto, un “continente enoico” dove la tradizione vinicola ha radici millenarie. Ma sempre più rivolto verso il futuro.
La fama del vino siciliano in Italia e nel mondo
Secondo la recente ricerca di Gpf Inspiring Research per il Consorzio Vini Doc Sicilia, dal titolo “Immagine, percepito e prospettive del Doc Sicilia in Italia”, il 74,8% degli appassionati conosce il vino siciliano, e la percentuale sale al 79,4% tra i giovani di età compresa tra 24 e 29 anni, e, guardando al consumo, tra coloro che lo conoscono, l’83% lo beve anche, confermando la Sicilia tra i territori del vino più amati e famosi, in grado di rappresentare l’Italia nel mondo. Il vino siciliano è sempre più capace di emergere come un “brand” dalla forte identità, ambasciatore, allo stesso tempo, dell’anima eterogenea del viticoltura dell’isola, anche con tutti i suoi contrasti, e “sostenibile per natura”. Tanto che la comparazione con altri territori italiani, vede il vino siciliano posizionato tra i segmenti di consumatori più protesi all’innovazione e alla modernità, a differenza di vini di aree a maggior diffusione che hanno un posizionamento più tradizionale.
A Erice, l’evento di Assovini Sicilia
“Si è sempre detto che il fattore umano è fondamentale nel ciclo di produzione, ed oggi penso sia sempre più attuale ed inteso come scienza, conoscenza, know-how. Solo così possiamo affrontare importanti temi, come il cambiamento climatico. Assovini Sicilia – con le sue 90 aziende aderenti – vuole essere portavoce e pioniera nel guidare, con nuovi modelli, il futuro della vitivinicoltura siciliana”, spiega ancora Laurent de la Gatinais. L’occasione per parlare di Sicilia è l’evento Sicilia en Primeur di Assovini
Sicilia, evento itinerante che, tra la fine di aprile e i primi di maggio, è tornato in presenza dopo due anni di pandemia, nella suggestiva cittadina medievale di Erice, in provincia di Trapani. Ospiti del Centro di cultura scientifica Ettore Majorana e degli altri edifici storici del borgo, scienziati, studiosi, istituzioni,
enologi, oltre a ottanta giornalisti nazionali e internazionali. La diciottesima edizione di Sicilia en Primeur ha visto la realizzazione di sette enotour, un banco di assaggio con cinquecento vini in degustazione, una masterclass.
Il futuro del Catarratto
Molto interessante la masterclass sul Catarratto, condotta dal professore Nicola Francesca, dal giornalista enogastronomico Francesco Pensovecchio, insieme all’enologo Vincenzo Naselli: “Il Catarratto: Tempo e Altitudine per generare la bellezza di un aroma”. Parliamo della varietà di uva più presente in Sicilia, terza in Italia, entro le prime 10 nel mondo. Nel trapanese, il Catarratto è il vitigno fondamentale per il Marsala. Proprio a Marsala era scelto dalle famiglie per fare il “perpetuo”, il vino della festa. Il Catarratto si caratterizza soprattutto per l’equilibrio nel gusto e per la longevità, caratteristiche che lo distinguono dalla potenza e dalla complessità aromatica del Grillo. La tendenza di questi ultimi anni è quella di spingere questo vitigno oltre una certa altimetria in virtù della sua plasticità e adattabilità allo scopo di amplificarne il vigore e potenziarne la complessità aromatica che, specie nei vini più giovani, può apparire debole. Il Catarratto reagisce bene a varie tipologie di suolo e alle temperature e, quando viene coltivato ai 300-400 metri è capace di liberare meglio nel tempo i suoi aromi. Vitigno molto resiliente, offre plasticità e duttilità nella coltivazione. Esprime una grande acidità, ma bisogna aspettarlo un po’ per avere la stabilità aromatica. Nel tempo, però, non tradisce manifestando – come emerge anche dalla degustazione alla cieca svoltasi a Erice – sentori di idrocarburi, paglia e fieno, camomilla. Se, in passato, si puntava molto alla ricerca del tropicale e del fruttato, oggi si comincia a investire sulla ricerca dei titoli, con una prevalenza delle note agrumate più fresche. Il Catarratto resta comunque un vino austero e riservato, per il quale avrebbe senso immaginare anche un
ingresso sul mercato più ritardato, consentendo un invecchiamento di due-tre anni: per molti servono almeno due anni in bottiglia per far emergere la migliore intensità degli aromi tipici di un vino capace di esprimere note di pietra focaia, grafite, sasso di fiume, e con un importante retrogusto salino. Anche l’uso della malolattica risulta decisivo: questo tipo di fermentazione, infatti, regala una percentuale di aromi in più arricchendo il prodotto di sensazioni di burro, pane e lievitati. In questi casi, bisogna evitare di fare un vino troppo ‘seduto’ e ‘costruito’. Chi scrive preferisce senz’altro un prodotto più sprintoso, maggiormente settato sulle acidità. Ma è chiaro che è possibile raggiungere risultati eccellenti anche nella versione con malolattica. Quello che emerge in ogni caso è la grande versatilità di un’uva che, se volessimo fare un paragone con un’altra uva internazionale molto celebre e diffusa, potrebbe essere considerata lo Chardonnay di Sicilia.
Back to the Roots, la Sicilia che vive il futuro
“Back to the roots, la Sicilia che vive il futuro”, in un messaggio pioniere e attuale di futuribilità della vitivinicoltura dell’isola, dal “Rinascimento” del vino siciliano ad oggi, che guarda al cambiamento climatico e alla sostenibilità della produzione di vino, è stato il tema del convegno del 30 aprile a Erice,
con interventi di vari esperti. Come spiega il presidente di Assovini Laurent Bernard de la Gatinais (che è anche a capo della Tenuta Rapitalà), “a giocare un ruolo fondamentale nel futuro sono le variabili come la biodiversità, le buone pratiche tradizionali, le tecniche agronomiche attuali e sostenibili, e le varietà autoctone. Tutti elementi che insieme alla ricerca, lo studio, le sperimentazioni, la qualità della produzione, fanno della Sicilia un laboratorio vitivinicolo unico e una guida nella gestione sostenibile dei cambiamenti climatici”.
Un contributo in questa direzione lo darà il progetto “Valorizzazione del germoplasma viticolo” promosso e sostenuto dal Consorzio della Doc Sicilia (che vale più di 96 milioni di bottiglie prodotte nel 2021, negli oltre 26.000 ettari della Denominazione, ndr), in partnership con il Dipartimento regionale dell’Agricoltura della Regione Siciliana, l’Università degli Studi di Palermo e il Centro regionale per la conservazione della biodiversità viticola ed agraria “F. Paulsen”. L’obiettivo è quello di conservare la biodiversità generata da millenni di viticoltura isolana e le sue varietà autoctone e di intervenire a monte della filiera vitivinicola, dotando i vivaisti di materiale di base da cui ottenere un prodotto certificato da vendere alle aziende. Lavorando con viti di cui è certa l’identità varietale el’integrità sanitaria, è possibile dare valore e sostegno alla qualità dei vini siciliani. Grazie al progetto è in corso la verifica fitopatologica dei campi di piante iniziali esistenti e la ricostituzione di nuovi campi con materiali virus esenti, da cui ottenere il materiale di propagazione per la produzione di barbatelle innestate e certificate.
La missione del Consorzio Doc Sicilia
Presente all’evento anche Antonio Rallo, Donnafugata, uno dei marchi del vino siciliani più celebri, e oggi presidente del Consorzio Sicilia Doc. “Il progetto a sostegno del “Vigneto Sicilia” è centrale per lo sviluppo dell’enologia siciliana. Ogni giorno lavoriamo per comunicare al meglio il sistema ‘Sicilia Doc’ come produttore di eccellenza dei vini contemporanei, a fianco dei nostri produttori e delle nostre aziende così che possano essere sempre più competitive sui mercati di riferimento”, spiega Rallo. L’altro pilastro nella costruzione del futuro del vino siciliano è la promozione della sostenibilità con la condivisione di buone pratiche a garanzia del rispetto dell’ecosistema. Questi sono gli obiettivi della Fondazione SOStain Sicilia, creata insieme da Assovini e Consorzio Doc Sicilia per promuovere la
sostenibilità del vino siciliano, oltre la semplice certificazione. “100% Made in Sicily” è il progetto che, in questa chiave, punta alla produzione di una bottiglia leggera, in grado di abbattere le emissioni di CO2 derivanti dal trasporto del vetro, e prodotto interamente in Sicilia con vetro riciclato proveniente dalla Regione.
Grillo e Nero d’Avola, campioni di Sicilia
Resta il fatto che la Sicilia parlerà sempre con i suoi principali vini. Tra questi sono, per quantità e qualità, il Grillo e il Nero D’Avola. Il Grillo si distingue tra le oltre 70 varietà autoctone della regione per aver conosciuto la maggiore crescita negli ultimi anni, in virtù di caratteristiche qualitative e di versatilità
uniche, conquistando il successo sia sul piano nazionale che su quello internazionale. Il 2021 è stata, per il Grillo, un’ottima annata, in qualità e quantità, con la vendemmia 2021 che ha prodotto 20.941.260 milioni di bottiglie (+25% sul 2020). L’altro vino che ha contribuito a far conoscere la Sicilia nel mondo è il Nero d’Avola, il vitigno a bacca nera più diffuso della Sicilia (oltre 14.700 ettari di superficie vitata). L’annata 2020 per il Nero d’Avola è considerata ottima, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, Le bottiglie prodotte sono in tutto 50 milioni: un numero che si conferma anche nel 2021.
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