Mentre gli ultimi dieci ostaggi hanno lasciato la Striscia di Gaza per tornare in Israele, la domanda che ha contraddistinto le ultime 24 ore di tregua è stata una: se fosse possibile un’estensione del cessate il fuoco. Israele e Gaza sono rimasti appesi a un filo fragilissimo, che ha traballato per ore nonostante gli sforzi. Un esempio è stato lo scontro confermato dal portavoce delle forze armate israeliane in cui sono stati uccisi tre miliziani palestinesi nella Striscia. Il primo a parlare ieri da Israele è stato premier Benjamin Netanyahu, che rivolgendosi a coloro che si domandavano se Israele fosse pronto a riprendere la guerra, ha risposto con “un inequivocabile sì”, perché “non esiste alcuna possibilità che non si torni a combattere fino alla fine”.

Successivamente sono arrivate altre dichiarazioni, quelle del ministro della Difesa Yoav Gallant che, dopo avere incontrato i vertici della sicurezza di Israele nella serata di ieri, ha espresso il suo pensiero in modo altrettanto chiaro. Il governo “sta facendo tutto ciò che è in suo potere per restituire tutti gli ostaggi” ma l’esercito è “pronto a riprendere le ostilità immediatamente”, ha detto il ministro. Nelle stesse ore, inoltre, a parlare è stato anche il capo di stato maggiore dello Stato ebraico, il tenente generale Herzi Halevi, che dopo l’approvazione dei piani per la ripresa dei combattimenti dopo la tregua – via libera che è arrivato nel quartier generale del comando meridionale a Beersheba – ha dichiarato: “Sappiamo cosa è necessario fare e siamo pronti alla fase successiva”.

Il messaggio arrivato da Israele è stato dunque estremamente chiaro. Ed è giunto in una giornata molto complessa, difficile sia dal punto di vista politico che psicologico. Il pressing della comunità internazionale è stato tutto rivolto all’estensione della tregua oltre i due giorni stabiliti per il suo prolungamento. Dal Qatar e dall’Egitto, crocevia delle negoziazioni tra Israele e Hamas, si sono ripetuti segnali su una trattativa difficile ma che appariva incanalata nei binari giusti. Gli stessi binari fissati dal direttore della Cia, William Burns, e dal direttore del Mossad, David Barnea, nel loro ultimo incontro a Doha con il primo ministro qatariota. Dallo Stato ebraico, a parte la dura reazione della destra radicale allo stop alle ostilità, non sono del resto mai arrivati indizi di netta contrarietà all’ipotesi.

Per un anonimo alto funzionario israeliano sentito dalla Cnn, il governo si è impegnato in modo molto chiaro nel valutare la possibilità di un’estensione della tregua, a condizione però di un chiaro impegno di Hamas nella restituzione di altri ostaggi, se non di tutti, compresi gli uomini. A questo proposito, un esponente della sicurezza israeliana citato dal quotidiano Haaretz ha detto anche lo Stato ebraico avrebbe la certezza che “tra donne e bambini Hamas ha nelle sua mani ostaggi per almeno altri due, forse tre giorni” di tregua. Il che significa che l’organizzazione islamista avrebbe ancora in suo possesso tra i venti e trenta rapiti. Il condizionale in questi casi è più che d’obbligo, perché la galassia di milizie della Striscia di Gaza e la guerra rendono difficile dire chi controlla cosa nell’exclave. Alcuni ostaggi sono nelle mani del Jihad islamico palestinese, di cui ieri i militari israeliani hanno ucciso il comandante del campo profughi di Jenin, Muhammad Zubeidi insieme a Hussam Hanoun.

Mentre sul destino di altri rapiti è calata un’ombra di oblio e di terrore. L’esempio più tragico è quello della famiglia Bibas. Ieri le Brigate Ezzedine al Qassam, braccio armato di Hamas, hanno comunicato che il piccolo Kfir, di dieci mesi e il fratello di soli quattro anni, Ariel, erano morti insieme alla mamma, Shiri, sotto un bombardamento israeliano avvenuto prima della tregua. In Israele, governo e Idf hanno avviato subito le indagini. Netanyahu ha telefonato agli altri membri della famiglia, e il generale Benny Gantz ha ricordato come questi annunci siano parte della guerra psicologica di Hamas. Secondo le Idf, sono ancora 159 le persone sequestrate, e tutto dipende da queste fasi cruciali tra tregua e guerra. Un duplice dossier per cui sono attesi in Israele l’inviato Usa per gli ostaggi Roger Carstens e il segretario di Stato Anthony Blinken. Segno che Joe Biden non molla. E una sua frase su X sembra fornire un’ulteriore indicazione: “Continuare sulla strada del terrore, della violenza, degli omicidi e della guerra significa dare ad Hamas ciò che cerca”.