Sembra una vera istigazione a punire, quella lanciata ieri dal Fatto contro una serie di detenuti chiamati con nomi e cognomi, colpevoli di scrivere le proprie opinioni sulla rivista del carcere che va sotto il nome di Ristretti orizzonti. Vengono sfottuti, anche, “I boss diventano opinionisti”, e richiamati, in modo che chi di dovere si imprima bene l’elenco delle loro malefatte nella memoria, i tremendi reati commessi, quelli che, venti o trent’anni fa li hanno portati all’ergastolo. “Ostativo”, ecco la parola chiave. Detenuti al regime del “41-bis”, ecco l’altra parola chiave. Sembra un paradosso. Da una parte si legittima Roberto Saviano e il suo diritto a insultare con la parola più infame nel nome della libertà di pensiero e di parola. Dall’altra si mettono alla gogna gli ergastolani, come se non stessero comunque e da lungo tempo scontando la loro pena, perché osano pensare, avere opinioni, e persino comunicarle con la scrittura.

Lo spunto arriva da un atto più che discutibile di una onlus dal nome “Casa della carità”, diretta da Christian Abbondanza, che avrà sicuramente avuto il merito di studiare l’espansione delle mafie, in particolare la ‘ndrangheta, nelle regioni del nord, ma questa volta ha compiuto un atto violento e cinico. Secondo quanto raccontato dal Fatto questa onlus avrebbe presentato un esposto alla Dia, perché “attraverso Ristretti Orizzonti vengono promosse o diffuse pubblicazioni, anche scritte dagli stessi detenuti, di sistematico attacco all’ergastolo ostativo e al 41-bis”. Dunque, se abbiamo capito bene, la Direzione Investigativa Antimafia dovrebbe aprire indagini sulle carceri di mezza Italia e censurare il diritto di pensiero di parola e di scrittura dei detenuti che si esprimo sulla loro rivista. Perché questo è Ristretti Orizzonti, il luogo di espressione di chi è “ristretto” e spera che il proprio orizzonte non cominci e finisca dentro le mura di una prigione. È la rivista della speranza, del riscatto e del cambiamento, di quelli che hanno fatto un percorso autocritico, hanno lavorato, hanno studiato, alcuni si sono laureati. In giurisprudenza, spesso. E questo fa scandalo.

Lo stesso articolo del Fatto riconosce l’importanza dell’esistenza di un luogo del pensiero come quello. Ma il suo ruolo è anche di denuncia, andrebbe aggiunto, come il lavoro minuzioso e certosino di ricerca sul fine vita, oltre che sul fine pena. Sulle morti “naturali”, dietro cui si nasconde troppo spesso la non voglia di sopravvivere più se non si può vivere. E sui suicidi, tragico conteggio che quest’anno sta arrivando agli ottanta. Ristretti Orizzonti parla di libertà e di diritti. E perché non dovrebbe divulgare il proprio pensiero critico sia su quel laccio che stringe alla gola coloro che sono destinati dalla condanna all’ergastolo ostativo, vera pena di morte sociale, che sul trattamento previsto dall’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario che aggiunge chiusura a chiusura, catenacci a catenacci? Vogliamo togliere loro anche l’aria, oltre alla libertà? Singolare modo di ragionare, quello di coloro che hanno chiamato in causa la Direzione Investigativa Antimafia. Fanno le pulci mettendo il naso dentro la redazione della rivista. “Fino al 2014 – denunciano nell’esposto – vi scrivevano perlopiù detenuti comuni, dopo è cambiato tutto”.

Sarebbero stati i boss mafiosi a impadronirsi della rivista, a conquistare il potere (il potere?), a imporre le proprie battaglie. Pensate che osano persino comunicare concetti come questo: “Non si può comprimere la volontà di riscatto… a chi sta rivedendo la sua storia, riesaminando le sue scelte criminali, rendendosi disponibile a fare testimonianza della sua vita e del suo percorso in varie forme…”. Ma tra questa forme non è contemplata la collaborazione, fa subito notare il Fatto. Sta tutto qui il succo del discorso, lo scandalo da segnalare addirittura alla Dia. C’è da domandarsi a che tipo di sub-cultura appartengano gli aderenti alla onlus che ha presentato l’esposto. Sia per aver cercato di coinvolgere un’importante agenzia investigativa che ha il compito di prevenire l’espandersi delle attività criminali e non certo quello di soffocare la rivendicazione dei propri diritti da parte di chi sta scontando la pena e sta rivisitando in forma autocritica il proprio passato. Ma anche per l’ignobile divulgazione di nomi e cognomi con allegata casella giudiziaria. Una vera gogna cui, ma di che stupirsi, il Fatto si è prestato a fare da trombettiere.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.