È nato un nuovo asse politico. Si chiama Travaglio-Meloni. Al momento si applica solo al capitolo giustizia (sulla guerra il reciproco ribaltamento di posizioni fra Travaglio, ex filoatlantico, e Meloni, ex antiatlantica, rende impossibile la convergenza). La convergenza attuale consiste nella scelta del nuovo presidente del Consiglio di aderire senza obiezioni alla linea dei 5 Stelle, sostenuta con vigoria virile da Travaglio in questi anni, e anche – diamogliene atto – dal povero e vilipeso Bonafede. Qual è la linea? Meno garantismo, più potere alle supposizioni, riduzione ai minimi termini dello Stato di diritto, molte molte punizioni e poi prigione prigione prigione, anche in spregio della Costituzione e delle idee e suggerimenti e richieste dell’Europa.

Il primo provvedimento che il nuovo governo ha voluto adottare non riguarda le bollette, la crisi, l’inflazione, la caduta dell’occupazione, l’aumento delle povertà, le difficoltà delle imprese… no: riguarda la possibilità di bloccare la timida riforma Cartabia (considerata però eccessivamente liberal dalla nuova destra meloniana e travaglista) e soprattutto di evitare che siano smantellate le leggi liberticide sull’ergastolo e sulle norme ostatitve che bloccano per anni e anni in prigione persone che invece potrebbero uscire libere o essere dirottate verso pene alternative.

La svolta è chiarissima e fuori discussione. È di tipo fascista (se mi permettete di usare questo termine semplicistico e un po’ grossolano, ma assai evocativo), non nel senso delle etichette e delle litanie imparate a memoria da un pezzo di sinistra che spesso, su questi argomenti, è fascista come Conte, Travaglio e la Meloni messi insieme. Dico di tipo fascista nel senso che è una svolta autoritaria e illiberale e intollerante che ci riporta ai tempi del governo gialloverde. Voi sapete che questo giornale ha sempre considerato il movimento Cinque Stelle un movimento con forti richiami all’ideologia fascista, e cioè alla parte antipolitica, autoritaria e eticista, che era fondamentale nella costruzione ideologica del vecchio regime.

Ora si vede che su quella linea si trova perfettamente a suo agio la destra-destra di Salvini e Meloni. C’era stata una interruzione della corsa giustizialista col governo Draghi, che era di ispirazione liberale, anche se molto prudente perché comunque doveva fare i conti con una maggioranza che comprendeva anche i ragazzi di Grillo, e quelli di Salvini e i pezzi meno garantisti del Pd (meno garantisti è un eufemismo….). La parentesi draghiana è finita. Ora però si pongono tre questioni. La prima riguarda il ministro, la seconda riguarda Forza Italia, la terza riguarda il Pd. Il ministro si chiama Carlo Nordio. Ha più di 70 anni e per almeno 40 anni ha militato in quella parte piccola piccola di cultura garantista che sopravviveva in magistratura. Questo giornale ha sostenuto qualche mese fa la sua candidatura al Quirinale, e nei giorni scorso ha sempre accompagnato le critiche al governo e alla Meloni con le lodi a Nordio.

Il ministro, per la verità, ci aveva lasciato assai perplessi quando qualche settimana fa in una bella intervista a Libero aveva introdotto – a sorpresa – delle frasi tutt’altro che garantiste sulla legalizzazione delle droghe leggere e sulla depenalizzazione dei reati legati alle droghe leggere. Ci eravamo preoccupati un po’ ma avevamo continuato a battergli le mani, perché continuava a proclamare principi assolutamente garantisti, tipici della sua impostazione culturale. Così come gli abbiamo battuto le mani non molto più di 24 ore fa quando ha detto che il suo principale problema era il carcere.

Noi pensavamo che lui intendesse dire che si sarebbe impegnato per ridimensionare la funzione del carcere nel sistema delle pene. Invece, forse, intendeva dire tutto il contrario: non come fare uscire un po’ di gente dalla prigione, ma di come tenercela dentro. Il decreto sul 4 bis, oltre che sfidare la Costituzione e la Corte Costituzionale, equivale, sul piano ideologico allo slogan dei giustizialisti più estremi: “buttare la chiave”.  Nordio si allinea a questo slogan? È difficilissimo crederlo. Noi continuiamo a immaginare che sia un equivoco. Non possiamo rassegnarci all’idea che il potere sia una categoria dello spirito così malvagia che in pochi giorni ti si mangia tutto il pensiero. Aspettiamo nelle prossime ore una dichiarazione clamorosa di Nordio, o un suo gesto eclatante, che ci permetta di tornare a stimarlo come abbiamo sempre fatto.

2) Ora è chiarissimo il motivo per il quale Silvio Berlusconi voleva la Casellati e non Nordio al ministero della Giustizia. Berlusconi non si fidava. Voleva una avvocata che conosce bene e della cui saldezza non dubita. Conosceva anche le pulsioni travagliane (o contiste) di Giorgia Meloni e sapeva che per dare equilibrio liberale al governo occorreva che una persona solida e non addomesticabile sedesse a via Arenula (Per la seconda volta negli ultimi mesi devo chiedere scusa alla senatrice Casellati.

Stavolta perché mentre erano in corso le trattative io ero nettamente favorevole a Nordio, e chiaramente mi sbagliavo). Ora però si pone la questione di come si muove Forza Italia. In Parlamento il partito di Berlusconi potrà dare il voto favorevole a questo provvedimento ispirato al più totale bonafedismo e che inverte i passi compiuti dalla ministra Cartabia? Sarebbe una sciagura per i liberali. Una resa. Ci troveremmo senza più argini all’ondata reazionaria.

3) Il Pd si trova ora di fronte a se stesso. E alle scelte di fondo che dovrà compiere durante il suo congresso. Vorrà essere un partito giustizialista, come in buona parte è stato finora, o comunque oscillante, o vorrà realizzare la sua vera svolta, quella liberale e garantista che in nessun modo vuol dire svolta a destra. Il garantismo più rigoroso e radicale non entra mai in contrasto con una politica fortissimamente di sinistra. Io che son vecchio, ho militato nel Pci, mi ricordo di Umberto Terracini e di Alberto Malagugini, due giuristi comunisti in dissenso da sinistra con Berlinguer e Longo, e garantisti, garantisti a cinquecento carati. In tutti i campi del garantismo.

Probabilmente molti degli attuali dirigenti del Pd non conoscono questi due nomi, né quello di Sullo, che fu pure ministro della Giustizia nel ‘46, ma la storia della sinistra italiana, che pure è stata sfregiata dal giustizialismo, contiene in se anche molti elementi garantisti. Il Pd deve scegliere. Vuole andare con Conte a caccia di manette, o vuole costruire una nuova prospettiva socialista, liberale ed egualitarista? Intanto c’è questa prima occasione. Opporsi ventre a terra a questo decreto reazionario. Sfidando Conte e il populismo manettaro. Saprà farlo?

P.S, Non ho scritto dei renziani e dei calendiani perché spero che non ce ne sia bisogno. Non posso pensare che si bonafedizzino pure loro…

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.