La rece «La pena non coincide necessariamente con il carcere. L’esecuzione della pena, che deve essere certa, deve essere proporzionata, deve essere soprattutto equa, perché il primo giudice del giudice è l’imputato o il condannato». Questa una delle prime dichiarazioni del nuovo ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che ha aggiunto: «La pena deve essere orientata alla rieducazione del condannato. Questo non significa essere buonisti, ma applicare la Costituzione».

Un pensiero che ci riporta indietro di venti anni, quando la Commissione ministeriale, presieduta da Nordio, anticipò la riforma Cartabia, dando al giudice della cognizione la possibilità di applicare al condannato una misura alternativa. Oggi il neo-ministro vuole riorganizzare il sistema penitenziario e ha affermato che questa è certamente una priorità. La notizia, tenuto conto dei valori che hanno accompagnato la vita professionale del ministro, è incoraggiante ma contrasta con l’idea di esecuzione penale fino ad ora proclamata da Fratelli d’Italia, il partito del presidente del Consiglio. Certezza della pena uguale certezza del carcere. Non esiste altro modo di espiare la pena se non da detenuti. Garantisti nel processo, giustizialisti nell’esecuzione delle condanne. Si è giunti anche a presentare un disegno di riforma costituzionale dell’articolo 27, in quanto la pena non deve solo rieducare.

Nel suo discorso alla Camera, tenuto martedì scorso, Giorgia Meloni ha fatto riferimento al drammatico dato dei suicidi in carcere, giunto a quota settantuno. Ha detto che è un dato indegno per una nazione civile, come indegne sono le condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria. Non una parola su misure alternative e sulla dignità dei detenuti che quotidianamente vedono calpestati i loro diritti. Ha poi rilanciato il cosiddetto “piano carceri”, cioè la costruzione di nuovi istituti di pena. Una minestra riscaldata che si ripropone ogni tanto ma che, come è facilmente comprensibile, non è idonea a risolvere alcun problema. E seppure fosse la strada giusta da seguire – e non lo è – quanto tempo ci vorrebbe per portare a termine il progetto? Bando di gara europeo, progettazione ed esecuzione, minimo quattro anni.

Una volta ottenuto il manufatto, lo stesso va riempito con personale idoneo: dirigenti, impiegati, polizia penitenziaria, educatori, psicologi. Tutte figure, oggi, carenti, perché i vuoti di organico riguardano tutti gli istituti esistenti. Moltissimo tempo, dunque, ed enormi risorse economiche. La scelta sarebbe fallimentare perché aprire nuovi spazi detentivi è un rimedio peggiore del male. L’istituzione carcere va circoscritta in un ambito minore e deve rappresentare la soluzione solo in quei casi in cui altre scelte non sarebbero possibili, per palesi e comprovate ragioni di sicurezza. Da un sistema carcerocentrico è necessario giungere ad un diritto penale che veda ridotte le fattispecie di sua competenza e ad un’esecuzione che sfrutti al massimo pene alternative, effettivamente votate al recupero sociale del condannato. Questo l’ha chiesto, ormai nel lontano 2013, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ma l’Italia ha solo finto di voler rimediare, lasciando di fatto tutto come prima ed oggi peggio di prima.

Il Nordio-pensiero, dunque, non è quello del presidente del Consiglio, ma il ministro ha un alleato nel capo dell’amministrazione penitenziaria Carlo Renoldi che, mentre Giorgia Meloni teneva il suo discorso alla Camera, ha ribadito, ancora una volta, intervenendo al Salone della Giustizia, che «in tutti i sistemi penitenziari esiste un catalogo di sanzioni che va ben oltre il carcere e che anzi vede, in misura maggiore, il ricorso a misure meno costose , in termini economici e sociali, rispetto al carcere. Dunque se anche il problema della pena si affrontasse prevalentemente costruendo nuove carceri, ciò non significherebbe abbandonare la prospettiva delle misure alternative come strumento essenziale. Inoltre, se di nuove carceri bisogna parlare – e a mio avviso è anche giusto farlo – lo si deve fare, intanto, per chiudere quelle vecchie ed impresentabili, per costruirne di nuove, maggiormente idonee a realizzare, attraverso il trattamento, l’obiettivo del recupero».

Nordio e Renoldi mangeranno la minestra riscaldata proposta dal presidente del Consiglio o, rischiando l’autorevole incarico, imporranno il loro pensiero, magari prendendo spunto da quella riforma dell’ordinamento penitenziario già scritta e immediatamente attuabile, frutto del lavoro della Commissione ministeriale presieduta dal professor Glauco Giostra?