Giorgia Meloni ieri, nella replica al Senato, prima di ottenere la fiducia – ed entrare nella pienezza dei poteri – ha parlato anche di giustizia. Con andamento altalenante. È stata giustamente polemica con una parte della magistratura – riferendosi all’intervento di Scarpinato che aveva sciorinato le solite litanie dell’antimafia professionale – facendo notare come gran parte dei fallimenti nell’azione di contrasto alla mafia sono venuti dagli errori delle Procure (ha citato in particolare il depistaggio del falso pentito Scarantino, che, insieme all’archiviazione del dossier mafia-appalti ha mandato all’aria tutte le indagini sull’uccisione di Borsellino).

Poi all’improvviso è stata travolta dalle pulsioni giustizialiste tipiche dell’estrema destra, e ha iniziato a gridare che per migliorare le condizioni dei carcerati bisogna costruire più carceri: più carceri, più carceri più carceri. La ricetta è questa. Uguale a quella di Travaglio e dei 5 Stelle. Non meno imprigionati, come chiedono le forze liberali e moderne. Ma aumento delle celle. E poco dopo ha polemizzato con la magistratura di sorveglianza che in applicazione della legalità (e della Costituzione), durante il Covid, scarcerò alcuni detenuti a fine pena per via delle loro drammatiche condizioni di salute.

Il problema è sempre quello: la destra, magari trascinata da Berlusconi, piano piano impara alcune lezioncine garantiste. Ma piccole piccole. Però resta giustizialista e nei momenti chiave le scatta il grido forcaiolo. Adora le prigioni e non riesce a nasconderlo. Ricordate quel film straordinario degli anni sessanta, “il dottor Stranamore” con quella scena del generale americano (Peter Sellers) al quale ogni tanto, nella foga, gli scappava il saluto nazista? Beh è un po’ così. Nel Parlamento le forze davvero e interamente garantiste restano poche poche. Forse solo Forza Italia.

E Nordio cosa potrà fare? Vedremo, speriamo, preghiamo. Certo l’impressione è che il vecchio e lucido magistrato garantista c’entri poco con la Lega e Fratelli d’Italia.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.