C’è una parte della Libia che vuole scardinare i pregiudizi e le incomprensioni, aprendo un dialogo nuovo con l’Europa e l’Occidente, senza perdere di vista la centralità del paese nello scenario africano. «È essenziale stabilire nuove relazioni culturali, economiche e produttive con l’Unione Europea e gli altri paesi africani», le parole di Obka Khalifa Haftar – uno dei figli del Generale Khalifa Haftar, leader di quel perimetro strategico che è la Cirenaica – sono pesate una ad una, come piccoli granelli di sabbia. Parole da cui è possibile estrapolare la volontà dell’entourage bengasino nel creare un paradigma nuovo.

Premessa: per comprendere cosa sia la Libia oggi è necessario guardare senza pregiudizi al composito quadro geopolitico, generato dal collasso istituzionale del 2011. Così, mentre l’Unione Europea e l’Italia rivendicano una primazia e una centralità esclusiva del governo di Tripoli, il dialogo con la Libia non può prescindere dall’apertura alle altre realtà istituzionali. Per noi italiani, poi, è impossibile non guardare alla Cirenaica, a Bengasi e a Tobruk. Parti della nostra storia: chi avesse a casa un album dei francobolli dei nonni sa bene a cosa ci riferiamo. «Noi dialoghiamo con tutti», ha ricordato recentemente il Ministro Adolfo Urso, dopo aver siglato con il governo di Tripoli un accordo – un memorandum of undestanding, per essere precisi – sulla connettività e l’utilizzo delle nuove tecnologie, in particolare per quanto concerne la cooperazione nel campo dell’intelligenza artificiale.

Se Tripoli fa un passo avanti, anche Bengasi è in marcia per consolidare i pilastri dell’innovazione. Ed è per questa ragione e su questi temi che Obka Haftar ha deciso di farsi intervistare. Da pochi mesi è alla guida della Fondazione Ru’Ya, nata nel 2024. La mission dell’organismo guidato dal figlio del generale è coniugare i vari ambiti delle istanze hi-tech per aprire il dialogo con Bruxelles: «È una strategia che riteniamo promettente per il nostro paese, perché la rivoluzione digitale e la digitalizzazione sono fattori che facilitano la creazione di partnership internazionali attraverso una semplificazione della comunicazione. La transizione digitale porterà alla riduzione delle barriere geografiche e al conseguente potenziamento della collaborazione in vari settori». La Fondazione Ru’ya, lanciata in Libia nel 2024, ha l’obiettivo di implementare programmi di sviluppo e cooperazione internazionale nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Da anni coltiva la passione per quelli che lui stesso definisce «gli strumenti del futuro».

All’insegna di quello che deve essere uno strumento per il trasferimento di competenze, Obka Haftar – che ha studiato all’estero, anche negli Stati Uniti, e vanta una consolidata esperienza manageriale – ha dato il via ai lavori della Fondazione Ru’Ya sotto gli auspici della costruzione di un ponte verso il futuro. «La fondazione vuole diventare un ponte per il dialogo, la pace e lo sviluppo attraverso l’introduzione e la gestione di tecnologie moderne in Libia», ha detto. «Da qui possono partire relazioni stabili e sostenibili con i partner. Ed è per questo che abbiamo concentrato le attività di Ru’ya su tre assi principali: cultura, economia, e sviluppo economico e produttivo». Sul piano concreto ecco l’approccio che intende adottare la fondazione: «Promuoveremo piattaforme digitali per lo scambio di arte e patrimonio culturale con l’Unione Europea e i paesi africani – racconta Haftar – e pensiamo a realizzare musei virtuali o eventi culturali online. Il nostro impegno sarà riversato anche nella creazione di programmi educativi congiunti nei campi della digitalizzazione e delle lingue straniere». E poi: «Apriremo le porte alle relazioni internazionali. Lo faremo partendo da un presupposto geografico prima ancora che geopolitico: la posizione centrale della Libia nel Mediterraneo».

La Libia si candida a diventare un vero e proprio hub: «Il nostro obiettivo è potenziare la nostra economia con i sistemi innovativi digitali, sviluppando piattaforme di e-commerce per facilitare l’esportazione di prodotti libici (come artigianato, datteri e olio d’oliva) nei mercati europei e africani. Inoltre, lavoreremo per attrarre investimenti tecnologici e promuovere progetti digitali in Libia, aprendo alla collaborazione con investitori europei e africani». Il Piano Mattei non è lontano dalla visione collaborativa. «Inoltre la fondazione stabilirà le basi per creare catene di approvvigionamento intelligenti per migliorare l’efficienza della fornitura tra Libia, paesi africani ed europei utilizzando le tecnologie digitali». Altro campo d’azione sarà l’empowerment democratico.

Nonostante la sua natura privatistica, la fondazione si candida ad assolvere un ruolo para istituzionale come “think tank” del governo della Cirenaica. «Abbiamo le competenze e le possibilità di fornire raccomandazioni e assistenza tecnica alle autorità legislative ed esecutive e costruiremo alleanze per potenziare la partecipazione civile nei processi decisionali a livello locale e nazionale. Questa visione è parte del sostegno alle riforme legislative e al rafforzamento dei sistemi politici, sociali ed economici per costruire una società più inclusiva e avanzata».

La Fondazione Ru’ya, infine, ha già avviato progetti di collaborazione con le università. Un passo necessario secondo Haftar: «Sosterremo la ricerca congiunta contribuendo al finanziamento di progetti di ricerca in aree come la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale o l’energia rinnovabile». Sullo sfondo della sfida digitale portata avanti, l’obiettivo principale di Haftar e della fondazione è «contribuire alla costruzione di una Libia moderna e democratica. L’apertura alle nuove generazioni sarà il fattore decisivo. A loro dobbiamo affidare le redini della rivoluzione digitale, perché i giovani sono quelli più capaci di adattarsi alla tecnologia e di innovare soluzioni per i problemi attuali e futuri. Da questo punto di vista, credo che concentrarsi sulle giovani generazioni possa portare a risultati tangibili.

Questo percorso deve iniziare dal settore dell’educazione, dove possiamo, con l’aiuto del governo, implementare programmi legati all’intelligenza artificiale e all’Internet delle Cose (IoT). Data la complessità anche morfologica del nostro paese, è essenziale anche creare piattaforme educative digitali che permettano a tutti i giovani di studiare, indipendentemente da dove vivono, riducendo così l’impatto negativo causato dalle condizioni economiche o geografiche».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.