Sono ore decisive per la sorte del processo penale: un emendamento del Governo alla legge di conversione del decreto “Cura Italia” introduce la possibilità che le udienze si svolgano tramite collegamenti da remoto. La fase 2 che dovrebbe sancire la ripresa anche dell’attività giudiziaria nel nostro Paese si apre, dunque, nel peggiore dei modi. Migliaia di processi si dovrebbero celebrare attraverso un meccanismo che vedrà il solo ausiliario del giudice presente in aula mentre gli altri soggetti processuali potranno collocarsi dove meglio credono.

Non ci sarà più nemmeno un’aula, l’agorà dove confrontarsi; nel processo etereo non potremo più “studiare” le persone; nessuno spazio per un intervento difensivo che giammai potrà essere tempestivo; nessun controllo rispetto a quanto operato dal pubblico ministero potrà compiutamente svolgersi. Controesami serrati di testi e appassionati interventi difensivi saranno ricordi da consegnare ai nipoti. L’avvocato finisce relegato in un quadratino davanti a uno schermo, privato delle sue arti processuali e anche della sua amata toga. Dunque, la scomparsa di quelle garanzie conquistate con il sacrificio e il sudore nostro e dei nostri padri e una “mazzata” al ruolo della difesa. La giustizia è l’unico tema su cui, in due mesi, il Governo non ha parlato: il ministro ombra, l’inquietante Bonafede, tranne una imbarazzante comparsa iniziale, non ha reso una sola dichiarazione sul tema della ripresa effettiva. Evidente che attendeva anche lui la redazione di un testo scritto da altri, segnatamente da una parte di “giuristi giustizialisti” oggi parte integrante del Governo.

Tra i tanti effetti deleteri del maledetto Coronavirus ci sarà anche quello per cui il processo penale come momento di verifica democratica di una ipotesi accusatoria non ci sarà più, spazzato via come un oggetto vecchio. Il diritto di difendersi provando, quello alla celebrazione di un giusto processo caratterizzato dal contraddittorio tra le parti e davanti a un giudice terzo passano da fondamentali principi della Costituzione e della Cedu a caselle da spuntare come opzioni indesiderate. Fino al 30 giugno, d’accordo, ma è facile pensare che si andrà anche oltre. Questo in fondo era l’obiettivo che si prefiggeva l’attuale governo della giustizia, processi “di Stato” senza garanzie: o patteggiate o fate l’abbreviato; il dibattimento non potete farlo, è stato seppellito, anzi cremato!

Questa la (ben poco) degna conclusione della storia di una ideologia giustizialista e dei loro esponenti, “giuristi” al potere di fatto da anni di questo Paese, che ritengono la presenza degli avvocati un orpello che ostacola il corso della giustizia e alla fine da “ammazzare” (come scritto da Shakespeare nell’Enrico VI, individuando proprio negli avvocati il baluardo della legge e della civiltà). Una avvocatura che è stata nel tempo colpita anche con legislazioni dei compensi al ribasso e norme fiscali assurde che hanno reso l’esercizio della professione sempre più difficile.

Si pensi alla chiusura degli uffici giudiziari: aprirli per riprendere in sicurezza è ben possibile come sta accadendo per tutte le attività del Paese, tenendo presente anche la modulabilità del rischio con la corretta organizzazione della macchina giudiziaria. Anche secondo l’Istat, il rischio per il contagio da Covid-19 nel settore della Pubblica Amministrazione si attesta su linee intermedie, certamente ben inferiori a quelle di molti altri settori. A Napoli si prospetta una situazione invero paradossale. Abbiamo una delle strutture giudiziarie più grandi del Paese, dotata di ben 60 aule attrezzate per il processo penale, a cui si aggiungono le quattro maxi-aule “bunker”.

Il processo da remoto darebbe luogo alla presenza degli imputati, degli avvocati e dei soggetti esaminare in piccole stanze di un commissariato, con probabili violazioni del distanziamento personale, mentre le aule del tribunale restano desolatamente vuote. Uno spreco di risorse oltre che un oltraggio ai basilari principi della Costituzione e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Nella nostra struttura giudiziaria, come evidenziato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli che ha operato senza risparmio di energie per la ripresa del lavoro anche nel settore civile e in quello amministrativo, è sicuramente possibile coniugare l’efficienza dell’attività giudiziaria con le vigenti disposizioni sanitarie.

Occorre una calibrata programmazione oraria delle udienze in modo da contingentare gli accessi nel Palazzo di Giustizia. La migliore efficienza del processo si ottiene poi consentendo il deposito in via telematica di tutti gli atti (comprese le impugnazioni) e comunicando ai difensori gli esiti delle istanze e dei processi a mezzo pec. Per evitare l’utilizzo degli ascensori, occorre infine collocare presidi di cancelleria presso la cd. piazza coperta. Così facendo l’accesso in tribunale sarebbe limitato ai soli casi del dover partecipare all’udienza oppure di operare colloqui con i magistrati. In questo senso gli avvocati partenopei sono prontissimi alla ripresa in sicurezza delle attività giudiziarie.