C’era una volta (ma molto, molto tempo fa) il giornalismo d’inchiesta. Oggi è un caro ricordo, sostituito da un giornalismo che spia le inchieste della magistratura e le amplifica persino quando finiscono in nulla, oppure mette insieme fatti che si svolgono alla luce del sole e li collega secondo disegni fantasiosi, quasi sempre improbabili, a volte surreali. Ieri alcuni importanti quotidiani anticipavano con fragoroso rullar di tamburi una “inchiesta” di Report nella quale figurano nomi un tempo noti della politica e del terrorismo di estrema destra e in questi casi, si sa, basta la parola.

Come è possibile che la figlia di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti abbia acquistato una casa nel 2002, quando aveva un anno? L’idea che la abbia comprata e messa a suo nome il nonno non deve esser passata per la testa dei “giornalisti d’inchiesta”. Molto più probabile che avessero da parte i milioni di Gelli, dei quali va da sé non esiste alcun indizio neppure labilissimo. La stessa Francesca Mambro, da detenuta, aveva contatti con Angiolo Maroni quando il medesimo era garante dei detenuti del Lazio, incidentalmente con tessera dei Ds in tasca. In effetti si contano più o meno a centinaia i detenuti che avevano rapporti col garante dei detenuti. Nel mirino degli scavatori c’è un altro ex Nar, anche lui condannato per la strage di Bologna, Luigi Ciavardini. Hanno scoperto, ma non è che ci volesse molto, che aveva creato un’associazione di detenuti, Gruppo Idee, con un mensile distribuito in carcere, Dietro il cancello, diretto dal figlio di Bruno Vespa, Federico.

L’associazione, anche in base ai contatti con l’allora parlamentare della Lega e oggi sottosegretario all’Ambiente di FdI Claudio Barbaro, assumeva detenuti in modo da permettergli di accedere alla semilibertà e tra questi anche Gilberto Cavallini, ex Nar, all’epoca non ancora condannato per la strage di Bologna. Assunto nel 2009 da Barbaro, poté usufruire della semilibertà. Cosa ci sia di strano non è chiaro. Non si tratta di un caso né unico né raro. Non si contano le associazioni, le redazioni e le istituzioni che hanno assunto detenuti, soprattutto politici, per consentire loro la semilibertà. Iscritto a Gruppo Idee e redattore del mensile carcerario, era anche Totò Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia, all’epoca in galera come favoreggiatore della mafia. Qui l’inchiesta può vantare addirittura una scabrosa intercettazione nella quale la moglie di Cuffaro, parlando con Vespa, dice di dover far entrare in carcere alcuni fogli, anzi “parecchi fogli”: si vede che era un pizzino enciclopedico. Vespa si offre di portarli lui dentro un quaderno e cosa ci vuole di più per subodorare la trama oscura? L’indagine della Procura di Roma è finita con l’archiviazione. Il Gruppo Idee non è mai stato indagato. Federico Vespa neppure.

Ma a Report non la si fa: scava scava qualcosa verrà fuori e se non viene fuori è uguale. Il vero pezzo forte riguarda le cooperative di carcerati fondate dallo stesso Ciavardini, una con il vicegarante dei detenuti del Lazio Manuel Cartella, l’altra, il solito Gruppo Idee, con la moglie Germana, sorella di Marcello e Nanni De Angelis sbrigativamente descritti come ex di Terza Posizione. In realtà Marcello è anche un ex senatore, Nanni invece è morto in carcere, poche ore dopo l’arresto, in circostanze che di solito si definiscono misteriose. La versione ufficiale fu un inspiegabile suicidio. Secondo Report queste cooperative fatturano un sacco di soldi.

Se anche fosse, ci sarebbe poco da obiettare. Nel clima forsennato seguito alla scoperta di Mafia Capitale, che poi mafia non era ma poco importa, le cooperative di detenuti sono state passate tutte al contropelo e sulle due in questione non è mai emersa alcuna irregolarità né ha mai trovato nulla di men che limpido il governatore del Lazio, che non era né un fascista né un mafioso ma il segretario del Pd ZingarettiÈ la stampa bellezza!” Ma no: è il solito ventilatore che sparge fango. E peggiora a vista d’occhio.