Purché fossimo nati e con memoria, tutti ricordiamo dove eravamo e che cosa facevamo quando uccisero John Kennedy, il Presidente; quando uccisero Martin Luther King (“Ho raggiunto la vetta della montagna e sono felice” disse prima che un colpo gli fracassasse mandibola e arterie sul terrazzino di un Motel a Memphis. Quando il 6 giugno del 1968 uccisero Bob Kennedy, il fratello minore e amato di John, quel quarantenne era diventato l’incarnazione della speranza delle sinistre di tutto il mondo. Solo i sovietici lo guardavano con sospetto visto che col fratello John erano quasi arrivati alla guerra per Cuba.

Ognuno ricorda sé stesso: che cosa facevi e dove eri quando…? Io insegnavo storia e filosofia in una scuola in cui il mio amico algebrista amico Giorgio Catalano insegnava matematica: Giorgio spalancò la porta e disse rivolto a me e agli studenti: “E’ finita. È finito tutto, non ci sono più speranze. Hanno ammazzato Bob”. Bob fu ucciso (senza per questo escludere la teoria del più vasto complotto) da un palestinese di nazionalità giordana, Shiran Shiran, settantasette anni, oggi, di cui cinquantatré in prigione durante i quali à stato anche accoltellato, che adesso potrebbe essere liberato. Non è sicuro: dipende dal governatore uscente. Lui ha dichiarato al giudice: “Non sono più quel giovane ardente e sconsiderato che ero. Non sono più io”.

Che Shiran abbia sparato, non c’è dubbio: esplose undici colpi da un revolver d’occasione. Sul movente, permangono i dubbi: disse che voleva punire la politica filoisraeliana di Bob Kennedy, il quale era andato in Israele, l’anno prima, dopo la guerra dei Sei Giorni fulmineamente vinta dal generale Mosè Dayan con la benda su un occhio. Con quella guerra, Israele non aveva soltanto sbaragliato tutti gli eserciti arabi e inseguito gli egiziani fino in casa loro, prendendo il Golan siriano. Quella guerra persa era diventata il simbolo diabolico della sconfitta araba e della necessità della vendetta: e Bob era andato a Gerusalemme e dichiarando la sua assoluta ammirazione per Israele. Di qui, disse Shiran Shiran, all’epoca 23 anni, la sua decisione di uccidere Bob alla prima occasione.

Vero o falso che sia, è certo che quella guerra aveva distrutto l’onore militare dell’Egitto e il morale di tutti gli arabi musulmani, anche se Shiran Shiran non è musulmano ma cristiano. Da quella guerra vinta dagli ebrei seguì la tentata e fallita rivincita la Guerra del Kippur dell’ottobre 1973 in cui l’Egitto e gli arabi persero dopo le prime vittorie dell’attacco a sorpresa e che che portò agli accordi fra Sadat e Dayan per cui Sadat fu assassinato dai Fratelli Musulmani durante una parata militare al Cairo. Morte e rappresaglia si incatenavano in modo inestricabile fin da quando il killer americano addestralo a Mosca Lee Harvey Oswald assassinò a fucilate il Presidente Kennedy a Dallas, e fu subito a sua volta ucciso mentre passava ammanettato in un corridoio, da un certo Ruby: il primo omicidio in diretta televisiva mondiale in bianco e nero: Ruby sparò una nuvoletta bianca nello stomaco di Lee che era pieno di ecchimosi e ferite sul volto e, che con espressione disgustata, si piegò già morto sul pavimento. Tutto in diretta (da noi in Europa, differita. ma fu un trauma lo stesso).

Quando uccisero suo fratello John, Bob non era soltanto un caro parente, ma faceva parte di una vera corte in tempi in cui Buckingham Palace contava pochissimo ed Elisabetta era gelosa di Jacqueline. I prolificissimi Kennedy, molto cattolici e poco casti, formavano con le rispettive mogli, amanti, e amanti delle amanti con l’ammissione del più glamorous jet set cinematografico ma anche criminale, formavano quel castello incantato nella Casa Bianca che tutti chiamarono Camelot, prendendolo in prestito dalla mitica casa di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Fra i meno nobili dei cavalieri c’era anche questo Sam Giancana, che sembra condividesse le grazie di Marilyn Monroe (la bionda più bella di tutti i tempi) sia con il Presidente John che con suo fratello Bob. Marilyn, di cui eravamo tutti innamorati, morì per una overdose di barbiturici perché era sempre depressa e disperata per la vita e gli inganni della reggia di Camelot e secondo una delle leggende nere fu fatta fuori proprio da Giancana per fare un favore ai due dioscuri. Giancana aveva fatto la fortuna di John accordandosi con suo padre Joseph, il quale gli aveva chiesto il voto dei sindacati in cambio di uno sbianchettamento del suo dossier criminale da parte di Bob, che lavorava per la Procura di Stato.

A Bob non era piaciuta questa mossa del padre che per favorire l’elezione di suo fratello alla Casa Banca lo aveva usato per uno sporco baratto. Però non si ribellò. Ma quando John ormai eletto lo nominò Attorney General, cioè ministro della giustizia, riprese il dossier e dichiarò guerra a Giancana. Una torbida storia che secondo alcuni spiega le ragioni dell’attentato di Dallas e forse anche quello di Los Angeles in cui Bob perse la vita. Era stato il fratellino adorante e adorato di John, ma aveva anche una visione diversa dal fratello sul Vietnam, una guerra iniziata da John che mandò i primi Berretti Verdi nelle ex colonie francesi nel Tonchino, sicuro di avere a che fare con una sorta di tribù selvaggia di comunisti che combattevano indossando un pigiama nero, detti Viet Cong, in americano “ViCi” subito trasformato in Victor-Charlie. I “Charlies” si rivelarono tutt’altro che guerriglieri arrampicati sugli alberi, visto che disponevano del miglior esercito tradizionale moderno del Vietnam, del Nord, lo stesso che aveva umiliato militarmente l’esercito francese a Diem-Bien-fu.

Dopo la morte di John, era diventato presidente il suo Vice, Lyndon Johnson, un uomo del Sud di estrema destra ma anche convintissimo assertore dei diritti civili : fu lui a portare a vittoriosa conclusione la battaglia per imporre la fine sella segregazione razziale. Ma nella politica estera, Lyndon, la cui First Lady era chiamata “Lady Byrd”, la signora uccellino, era un falco: la guerriglia nel delta del Mekong si era trasformata in guerra aperta, in America era stata introdotta la coscrizione obbligatoria, migliaia di giovani se la squagliavano in Canada per evitare “the Nam” (il Vietnam) da cui i soldati rientravano strafatti di oppio e marijuana, di acido lisergico, funghi allucinogeni e allucinogeni sintetici che dettero inizio alla musica e all’arte psichedelica fondata su spirali colorate e di tutte le sostanze che immediatamente si diffusero in tutto il mondo.

Era il momento dei figli dei fiori, del libero amore, del primo timido femminismo e delle continue manifestazioni che scuotevano gli Stati Uniti come non mai dai tempi della guerra civile. Riemerse proprio la Guerra Civile di un secolo prima in cui si mescolavano antichi odi e nuovi orrori, primo tra i quali il Vietnam dove i soldati neri morivano accanto ai bianchi con gli stessi cantando le stesse canzoni: mai come in quegli anni la prepotente bellezza della lotta per i diritti civili era emersa con magnifica musica, eccellenti opere grafiche, rallies, ribelli, pacifisti che si lasciavano trascinare per i capelli dalla polizia senza reagire, riempiti di botte dagli sceriffi e dalla Guardia Nazionale. Bob era diventato il leader di tutto ciò. Aveva stretto amicizia con Martin Luther King e si sentiva dalla stessa parte e lo diceva: ancora una volta un presidente democratico – peraltro integrazionista – svolgeva un ruolo di guerrafondaio.

Bob si oppose all’uomo succeduto a suo fratello e lo sfidò presentandosi alle primarie. Johnson si ritirò dalla corsa alla Presidenza e lanciò il suo vice Hibert Humphrey, un progressista moderato. Tra Bob e Humphrey iniziò una gara incertissima. le primarie della California erano importantissime. Si svolsero proprio il 6 giugno. Vinse Bob. La sua elezione a quel punto era data per probabile: l’America era con lui, compresi i repubblicani liberali tutti gli intellettuali del mondo, i cantanti, i poeti, i gay, i reduci mutilati e poi piano piano i sindacati e i metalmeccanici. Fu allora, quando tutta la tensione era inarcata per lui, che una salve di spari lo abbatté come al mattatoio, proprio mentre nelle sale di un grande albergo di Los Angeles stava festeggiando la vittoria.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.