Il guzzantino
Storia del 1968, quando il mondo impazzì e cambiò tutto in poche settimane
Ero in un piccolo corridoio scalcinato con una decina di telescriventi, macchine di ferro che battevano testi fra pause ronzanti e ripartite tartassanti su rotoli di carta che si dipanava in un serpente e che bisognava tagliare con le forbici e mettere nelle cassette per i diversi servizi del giornale: esteri, interni, politico, cultura, cronaca. E sport. Anche lo sport era in subbuglio. C’erano le agenzie italiane, Ansa, Italia e AdnKronos, e le agenzie internazionali inglesi e francesi, la Reuter, AP, France Presse e naturalmente la Tass sovietica in cirillico per i non rari compagni che avevano avuto frequentazioni. Il luogo del quale sto parlando era la redazione dell’Avanti! organo del Partito socialista con la galleria delle foto di tutti i direttori, salvo quella di Mussolini, che fu cacciato quando si dichiarò a favore dell’intervento nella Prima guerra mondiale.
L’Avanti! era un giornale antico, la sua sede aveva vagato in giro per Roma e per Milano ma allora era a vicolo della Guardiola, a un passo dalla gelateria Giolitti dove prendevo il caffè con Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir (cosa di cui mi vantavo moltissimo, anche se avevamo conversato solo sulle differenze del caffè romano e parigino). Esisteva e ruggiva ogni notte la vecchia rotativa che dall’inizio del secolo sfornava copie che si sventolavano nei tumulti e poi anche – più composto – nei consigli del ministri da quando i socialisti erano entrati nella stanza dei bottoni. Nella sala delle telescriventi stava accadendo un prodigio: le macchine fracassavano l’aria e Peppone, il fattorino che tagliava il serpente di carta e lo divideva in notizie separate, con la sua maglietta a righe bianche e blu con l’ombelico scoperto, era sbalordito: “Ma questi se so’ impazziti”, disse. “Chi?” chiesi io, conoscendo la riposta. “Tutti: ma non lo vedi?”.
Stava accadendo una sorta di congiunzione astrale planetaria: a Madrid, nella Spagna del regime militare di Francisco Franco, gli studenti erano in piazza e facevano a botte con la Guardia Civil, quelli con la lanterna, una specie di feluca grigia. In Spagna ancora si garrotavano gli anarchici: il boia li legava alla sedia e poi gli stringeva un nastro di ferro alla gola, sempre più stretto fino all’ultimo respiro. Avevo partecipato a un assalto all’ambasciata spagnola presso la Santa Sede in piazza di Spagna, cinque anni prima, quando strozzarono l’anarchico Julian Grimau. La telescrivente accanto mitragliava notizie da Praga. Il regime comunista “dal volto umano” di Dubcek aveva le ore contate perché sarebbero arrivati i carri armati sovietici e tedesco orientali ad agosto, e gli studenti avevano fretta e paura. Avrebbe raccontato tutto Milan Kundera nella “Insostenibile leggerezza dell’essere”. E poi Parigi: era la rivoluzione.
I francesi erano stati all’inizio inerti. La rivoluzione veniva dagli Stati Uniti: il campus di Berkeley era stato il vero teatro. La guerra del Vietnam, i sit-in, le canzoni di Joan Baetz e Bob Dylan, i pestaggi della polizia, i fiori nei cannoni, le prime garbate avvisaglie di femminismo che però non aveva ancora le idee chiare. Girava un manifesto in cui una sventola bionda, in minigonna di pelle western con le frange, faceva pipì contro il muro insieme a una fila di maschi. L’ho detto: avvisaglie ancora imprecise. Ma i francesi sembravano indifferenti perché aspettavano il tepore di maggio, le joli Mai, quando Jacques Brel cantava Le Moribond in cui diceva que c’est triste de mourir au printamps, tu sais, è triste morire a primavera e tu lo sai. Barbarà cantava l’amore di maggio quando c’est si joli de parler d’amour dans le rues de Paris a maggio – e quel giorno, nella stanza delle telescriventi, era maggio e Parigi esplose e sembrò che fosse la fine del generale De Gaulle, un tiranno democratico lungo due metri, dinoccolato e pieno di rinvigorente narcisismo che volle sfidare se stesso e i ragazzi del maggio sciogliendo le camere e convocando le elezioni anticipate. Disse: vediamo chi ha la maggioranza, in Francia. Stravinse. Però pure lui esagerò.
L’anno dopo varò una riforma costituzionale e un referendum per ratificarla. E dopo il trionfo del 68 ci fu la sconfitta del ‘69: de Gaulle perse il referendum e se ne tornò a Colombay-Les-Deux-Eglises, il paese natale, sbattendo la porta della storia et allez-vous ve faire voir par le Grecs, vatti a far fottere o patria ingrata. Aveva già respinto con riluttanza il programma di fucilare tutti gli imbecilli perché era “un vaste programme”. Mentre gli studenti francesi , guidati da un ragazzino di 20 anni che si chiamava Daniel Cohn Bendit, e aveva i capelli rossi, e oggi è un leader della socialdemocrazia tedesca, sfasciavano Parigi, altri ragazzi sfasciavano Praga. E Madrid. E Roma e Milano e Bologna. E Berlino: la città divisa in due dal muro col suo magico e maledetto Check-Point Charlie, dove passavi dal mondo dell’Ovest a quello dell’Est come nella macchina del tempo. Ero appena tornato da Berlino ed ero vittima del suo fascino perverso e grigio. Una città prussiana in cui i nuovi comandanti avevano notificato agli ex militari della Wermacht di Hitler che da oggi siamo tutti comunisti, e quelli – Jawohl! – marciando allo stesso passo dell’oca, facevano le stesse facce da Stasi o Gestapo, fino al 1989 che poi sarebbe appena trent’anni fa.
Nel Sessantotto era ancora vivo e vegeto, un po’ ingrigito, il mondo di coloro che avevano fatto la guerra. Vittime e carnefici sempre di fronte, i conti sempre aperti. E poi c’erano – novità dell’anno precedente – i greci dopo il colpo di Stato dei colonnelli di Atene del 21 aprile del 1967. Migliaia di studenti in fuga, migliaia di studenti di destra a caccia di studenti di sinistra, i loro servizi segreti, era un mondo complicato e anche in Libia tirava un’ariaccia per il re Idris e si sapeva che i nostri servizi segreti avevano in mente qualcosa e quel qualcosa lo vedemmo di lì a poco, era Gheddafi, con altre iniezioni di violenza incontrollabile in casa e fuori casa. Cambiavano le regole e cambiava “the narrative” o narrazione come diciamo oggi, la verità era sempre più polverizzata.
Esuli e spie, a tonnellate. Si odiavano, si ammazzavano, cercavano solidarietà, li nascondevamo in casa quando c’era bisogno così come nascondevamo gli ultimi relitti della guerra civile spagnola che ancora cantavano “mamita mia”, “El Quinto regimiento” e la canzone del fronte di “Guadalajara”, dove gli italiani delle brigate internazionali batterono militarmente gli italiani in camicia nera mandati da Mussolini e ne catturarono più di cinquecento. Erano vivi carnefici e vittime, fascisti e partigiani, rossi e neri. Ma con molte, moltissime complicazioni. E a Mosca: mai visti tumulti a Mosca. Il Kgb impazzito sulla strada Arbeit, gli artisti dalla barba caprina strillavano libertà: ma siamo impazziti? E i tumulti in Kazakhistan, in Polonia, nel decadente impero britannico, in Cina dove l’astutissimo Mao Zedong (ma allora si diceva Mao Tze-tung aveva dichiarato lui la rivoluzione nella rivoluzione, ovvero la rivoluzione permanente con le guardie rosse che arrestavano i padri e i padri che arrestavano i figli e tutti in campo di rieducazione, concentramento, esposti al pubblico ludibrio, il libretto di Mai era già nato).
Poi il sesso, non dimentichiamo il sesso. Le ragazze si erano già messe la minigonna inguinale, vedere le mutandine bianche di cotone delle compagne femmine non era più una novità, si cominciava a parlare di corpo umano, dei suoi odori naturali, dell’orgasmo, della rivoluzione sessuale, della coppia aperta, guai a dire che volevi la coppia chiusa, cominciavamo ad avvitarci in una ipocrisia permanente, pseudorivoluzionaria, scandita da slogan, frasi fatte, si diceva “a monte e a valle”, se uno avesse detto “far trovare la quadra” gli avrebbero sparato alla tempia. E nelle scuole era arrivata l’ora della contestazione ai vecchi professori in cattedra, il voto politico, l’assemblea permanente, la puzza di ascelle e di piedi, non c’era grande igiene durante la rivoluzione e le botte. La sinistra scoprì che poteva menare le mani.
Poteva sparare e non solo prenderle dai fascisti – sempre militarizzati, sempre in palestra, sempre stracciafemmine – e adesso c’era questa novità per cui i ragazzi di sinistra, per tradizione secchioni pallidi e macilenti o appena un po’ obesi con gli occhiali e una mazzetta di almeno venti giornali sotto il braccio e che finora avevano preso solo schiaffoni e cazzotti, gli venne come una voglia di pistola e di Che Guevara e di Olp palestinese che cominciava ad essere una novità anche quella di moda: con quella kefia, lo straccio intorno al collo e la faccia da onesto musulmano scacciato dalla belva imperialista. Stava diventando una moda, anzi un modo d’essere. Una categoria politica. Ci mancava. Adesso c’era. L’Olp era nata l’anno precedente, dopo la Guerra dei Sei giorni di giugno del ‘67 e ne era nata la resistenza palestinese, molto pro-sovietica, e accadde questo fenomeno oggi rimosso: i nazisti si fecero maoisti e nacque un vero movimento nazi-maoista e tornava l’aria del patto fra Stalin e Hitler, tutti uniti contro il capitalismo, la borghesia giudea e massonica, proletari di tutto il mondo uniamoci sotto le congiunte insegne, guardate che dicevano sul serio e ci fu davvero un grande abbraccio.
Principio comune: siamo tutti antiamericani e adesso che Israele è diventata una potenza imperialista possiamo (i nazisti di allora ma anche di oggi) recuperare il nostro antisemitismo razzista spacciandolo per antisionismo. Gli ebrei nel Sessantotto erano spaccati (per fare una cosa nuova) fra fedeli alla patria e ebrei di sinistra. In Italia Umberto Terracini, antifascista fondatore del Pci e padre costituente comunista ed ebreo, fu messo all’angolo nel partito perché sospetto di sionismo. (E non era la prima volta che lo mettevano all’angolo). E poi Oreste. Oreste Scalzone, intendo. Dove sei finito vecchia onesta canaglia? Ecco Oreste con l’ingessatura e la “minerva” che cammina nell’Università La Sapienza dopo che gli hanno tirato sulla schiena un armadio dalla finestra e lui non è affatto morto. Sembrava averlo rinvigorito. “Mi presti cinquecento lire per un taxi, domani te le ridò”. Non era una domanda, era una disposizione. Glieli diedi. Sparito, fuggito per sempre a Parigi e ancora vive lì, precariamente come sempre a 75 anni. Con lui la battaglia di Valle Giulia, studenti contro poliziotti, per la prima volta gli studenti caricano la Celere e la polizia le prende, arretra e fugge.
Pierpaolo Pasolini incazzato nero scrisse un’ode in cui si schierava dalla parte dei poliziotti, i veri proletari figli di proletari che si scontravano contro i rimasugli nevrotici della piccola borghesia in fregola rivoluzionaria, tutti figli di papà che non hanno dovuto arruolarsi in polizia per mettere insieme il pranzo con la cena e adesso i ragazzi nella divisa grigia della celere si prendevano a randellate con i liceali e universitari che scandivano slogan sui gradini della Galleria d’Arte moderna (io ero là con la mia scolaresca di un istituto privato di recupero anni perduti dove insegnavo storia e filosofia, ma anche francese italiano e quel che capitava e li portavo alla rivoluzione, vedrete ci divertiremo). Ancora non si usava l’aggettivo squalificativo “sessantottino” per indicare quelli che hanno distrutto la meritocrazia – i primi dell’uno vale uno applicato agli esami universitari – e poi del “sei politico”, degli esami di gruppo come l’amore di gruppo, in tempi in cui si parlava seriamente di “socialismo su un solo pianerottolo” (allusione allo stalinismo del socialismo in un solo stato contro il trotzchismo della rivoluzione permanente e internazionale) della propria comune e delle prime fumerie di canne di marijuana, sotto gli occhi tutt’altro che compiaciuti dei vecchi compagni del Pci e anche del Psi che si contorcevano in Italia su un solo tema: che cavolo fare di fronte al “movimento”?
Ammazzarli o assorbirli? Denigrali come provocatori e agenti dell’imperialismo (o del Kgb sovietico o dei cecoslovacchi molto abili come agenti). Fu allora, in quell’anno e come racconteremo nella prossima puntata, che si formarono le commistioni rosso-nere: Giulio Caradonna del Movimento sociale neofascista, dichiarava al Corriere della Sera: “C’è un terreno comune tra destra e sinistra extraparlamentari. Anche se quando si incontrano si bastonano, la cosa importante per me resta questa: nessuna delle due vuole difendere l’ordine costituito. Se la violenza ha una funzione morale, non mi ripugna certamente”. I gruppi ideologici nero-rossi si uniscono ai gruppi dell’ideologo Franco Freda che diventerà uno dei protagonisti delle “piste nere”, le inchieste sulla strage di piazza Fontana che avverrà il 12 dicembre dell’anno successivo e che metterà l’Italia, moralmente in ginocchio per almeno un ventennio. I maoisti d’Albania giravano fra noi e gli studenti.
Il Sessantotto fu il trionfo del libro del filosofo tedesco Herbert Marcuse, “L’uomo a una dimensione” e un effetto della geniale Scuola di Francoforte, e in particolare di Theodor Ludwig Wiesegrund Adorno, che morì un anno dopo. I suoi “Minima Moralia” avevano perforato la muraglia con il loro laser, ma scopriremo che quel meraviglioso libro era stato censurato. Era ancora possibile. Funzionava l’Indice di Santa Romana Chiesa, l’indice della Cia (la cui sezione artistica e intellettuale era attivissima) e l’indice del Kgb sovietico. Il “deep State” era una cosa seria. Polizie, servizi segreti, agents-provocateurs, falsi filosofi e profeti, rivoluzionari al soldo della repressione e repressori pentiti. Cominciavano a pentirsi anche alcuni mafiosi, lunga storia per le prossime puntate, macchiata di molto sangue e ancor più dalle menzogne e dalle fabbricazioni col doppio fondo. Anche triplo.
(Fine prima parte – Continua)
LA CRONOLOGIA DEGLI EVENTI DEL 1968:
5 gennaio: Alexander Dubček sale al potere. In Cecoslovacchia comincia la Primavera di Praga
15 gennaio: il Terremoto del Belice causa la morte di 370 persone
12 febbraio: massacro di Phong Nhi e Phong Nhàt (Guerra del Vietnam)
1º marzo: di fronte alla facoltà di architettura dell’Università di Roma a Valle Giulia, si verificano violentissimi scontri tra gli studenti e la polizia. L’accaduto dà il via a una serie di occupazioni in numerose università italiane
27 marzo: lutto nazionale in Unione Sovietica per la scomparsa di Jurij Gagarin in un incidente aereo
4 aprile: a Memphis, negli Stati Uniti, Martin Luther King viene assassinato a colpi di pistola sparati da James Earl Ray
11 aprile: a Berlino un uomo ferisce gravemente a colpi di pistola il leader degli studenti Rudi Dutschke, che morì a causa delle lesioni nel 1979
1º maggio: l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa dichiara l’indipendenza dell’Isola delle Rose
10 e 11 maggio: nel quartiere latino di Parigi scoppiano gravi incidenti tra la polizia e gli studenti delle università di Nanterre e della Sorbona. È l’apice del Maggio francese
3 giugno: Valerie Solanas spara a Andy Warhol all’entrata dello studio dell’artista
5 giugno: a Los Angeles viene assassinato il candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti Robert Kennedy, fratello di John
8 giugno: James Earl Ray viene arrestato per l’omicidio di Martin Luther King
10 giugno: la nazionale italiana di calcio vince i Campionati europei battendo la Jugoslavia.
20 agosto: le truppe del Patto di Varsavia invadono la Cecoslovacchia mettendo fine alla Primavera di Praga
24 agosto: la Francia fa detonare la sua prima bomba all’idrogeno
1º settembre: Vittorio Adorni conquista sul circuito del Santerno a Imola il titolo di Campione del Mondo di ciclismo su strada
11 settembre: il generale francese René Cogny e altre 94 persone muoiono nell’incidente dell’Air France Caravelle, nei pressi di Nizza, nel Mediterraneo
23 settembre: muore il frate cappuccino Padre Pio nella città di San Giovanni Rotondo
3 novembre: una devastante alluvione colpisce il Piemonte e in particolare la zona di Biella, causando oltre cento morti
5 novembre: il repubblicano Richard Nixon viene eletto presidente degli Stati Uniti
2 dicembre: la polizia spara sui braccianti durante uno sciopero. Muoiono due manifestanti, i feriti sono decine (Eccidio di Avola)
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