Lo scorso 12 ottobre Amy Coney Barrett, designata dal presidente Trump come nuovo giudice della Corte Suprema, si è presentata dinanzi al Senato per ottenerne il previsto previo assenso. Le sue opinioni e le sue tesi giuridiche saranno pubblicamente passate al severo vaglio dei senatori; opinioni e tesi che la futura giudice potrà continuare ad esprimere, se in minoranza, pubblicando la propria opinione dissenziente a margine delle sentenze della Corte.

Nel nostro sistema di giustizia costituzionale, invece, non solo non è prevista l’opinione dissenziente ma tutto il processo che porta alla elezione o nomina dei giudici costituzionali è caratterizzato dalla massima riservatezza (le camere riunite li eleggono senza dibattito) al fine di salvaguardare, anche sotto il profilo dell’immagine, la loro imparzialità e indipendenza. Per questi motivi lascia francamente stupiti l’intervento che il giudice costituzionale Giulio Prosperetti ha pubblicato su Il Sole – 24 Ore lo scorso 13 ottobre.

Proprio in ragione delle esigenze di imparzialità ed esclusività connesse all’alta carica cui sono chiamati, la legge impone ai giudici costituzionali di abbandonare ogni altra attività: ufficio o impieghi pubblici o privati, specie se magistrati in servizio o professori universitari; attività professionali, commerciali o industriali; funzioni di amministratori o sindaci in società che abbiano fine di lucro; cariche universitarie o in commissioni di concorso; infine, ovviamente, l’essere candidati in elezioni amministrative o politiche (art. 7 l. n° 87/1953). Ma, oltreché al rispetto di tali obblighi di legge, i giudici costituzionali sono tenuti – possibilmente ancor di più dei magistrati – ad improntare il loro comportamento pubblico e privato alla massima imparzialità e sobrietà. Certo, non si può chiedere loro di chiudersi in una torre d’avorio ed isolarsi dal mondo, per cui, al pari degli altri cittadini, essi conservano il diritto di esprimere le proprie opinioni.

Ma è parimenti indubbio che per la particolarissima qualità e delicatezza delle funzioni esercitate, all’esercizio di tali diritti possono essere opposti limiti giustificati dalla tutela dei principi costituzionali di indipendenza ed imparzialità; limiti che si traducono nell’osservanza di specifiche regole deontologiche cui i giudici costituzionali dovrebbero improntare ogni loro comportamento di rilievo pubblico. Insomma, prima ancora di essere un cittadino, un giudice costituzionale rimane sempre e comunque tale: un giudice-cittadino, dunque, e non un cittadino-giudice. Da qui quel dovere di equilibrio e misura al quale anche i giudici costituzionali devono sempre attenersi in ogni comportamento per evitare che il loro contributo al dibattito pubblico perda di senso istituzionale per scadere nella adesione pubblica a tesi controverse, specie quando ciò avviene non in sedi deputate al confronto scientifico (come un convegno o una rivista giuridica) ma tramite i media i quali, al di là delle specifiche intenzioni, comportano sempre una sovraesposizione politica.

Queste considerazioni assumono maggiore peso appena si consideri che il giudice Prosperetti si è consentito di intervenire sulla legge elettorale. Al di là della opinabilità delle tesi sostenute circa la “rappresentatività territoriale” su cui sarebbe incentrato il nostro sistema elettorale e l’aperta adesione al ripristino delle preferenze da correlare a circoscrizioni elettorali più ampie come quelle europee (con conseguente sicuro aumento dei costi delle campagne elettorali), non si può non rilevare come esse intervengono su una materia oggi all’esame delle Camere, sulle quali quindi il dovere di riserbo dovrebbe essere avvertito come ancora più stringente, e che un domani potrebbe essere sottoposta all’esame della stessa Corte costituzionale, dopo che questa ha deciso di estendervi il proprio sindacato di legittimità costituzionale (sentenze nn. 1/2014 e 35/2017). All’indomani della sua nomina a giudice della Corte costituzionale, Giuliano Amato, nel porre fine alla sua quindicinale collaborazione con Il Sole – 24 Ore che durava ininterrottamente da anni, motivava così il saluto ai propri lettori: “un giudice costituzionale non è e non può essere un opinionista”. È ancora vero.