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L'analisi
Il linguaggio politico è alla deriva linguistica. Quando l’avversario diventa nemico e le Istituzioni non hanno memoria
Negli ultimi anni, è diventato sempre più evidente come alcune forze politiche di maggioranza stiano sfruttando il linguaggio in modo polemico, trasformandolo in uno strumento di aggressività e intolleranza. Gli esempi sono così numerosi e recenti da non necessitare ulteriori spiegazioni. Ma quali sono le cause di questa deriva linguistica?
Le influenze
In primo luogo, si può individuare una motivazione contingente: l’influenza del modello Trump, che ha dimostrato l’efficacia politica di un linguaggio aggressivo e divisivo. Tuttavia, le ragioni profonde risiedono nella distanza ideologica di alcune forze politiche dalla tradizione antifascista, elemento fondante della nostra Repubblica. I padri costituenti, memori della degenerazione della violenza verbale in violenza reale, avevano adottato un approccio prudente, promuovendo un’“igiene delle parole”. La memoria del passato fungeva da monito per evitare il ripetersi di simili tragedie.
Così Fratelli d’Italia evita di definirsi antifascista
L’uso sistematico di un linguaggio volto a screditare ogni avversario – siano essi opposizione, magistratura o organizzazioni non governative – è indice di una mancata condivisione di quella memoria storica. Alcune forze politiche, invece, sembrano adottare un atteggiamento di volontaria esclusione rispetto ai valori fondanti della Repubblica. Non è un caso che esponenti di spicco di Fratelli d’Italia, inclusa la loro leader, evitino accuratamente di definirsi “antifascisti”. L’Italia e l’Europa hanno costruito la loro identità sulla base di un imperativo morale e politico che rifiuta la rimozione collettiva del passato. Questo ha permesso al continente di diventare la culla della democrazia dei diritti e delle istituzioni. Tuttavia, l’assenza di una continuità ideale con le radici repubblicane spinge una parte del centrodestra a considerare ogni forma di opposizione – partitica e non – come irrilevante e priva di legittimità. Questa percezione giustifica l’adozione di un linguaggio denigratorio e offensivo, che non solo avvelena il dibattito pubblico ma ostacola anche la costruzione di un dialogo fondato su argomenti e contro-argomenti.
Tanta aggressività
Il linguaggio politico, in questo contesto, si trasforma in uno strumento di aggressività, volto a delegittimare l’avversario, considerato non più come interlocutore, ma come nemico da distruggere. Tale retorica, spesso accompagnata da slogan populisti e identitari, colpisce il cosiddetto “politichese” della vecchia classe politica, accusata di compromessi e alleanze etichettate sprezzantemente come “inciuci”. In questa visione, il dissenso è visto come una minaccia, e il processo deliberativo – che richiede ascolto e confronto – viene sostituito da una perpetua campagna elettorale basata sull’invettiva e sulla demonizzazione. Questo approccio alimenta un clima di ostilità verso qualsiasi voce dissenziente, favorendo l’identificazione fideistica con la leadership e deformando il discorso pubblico. L’uso strumentale dei mezzi di comunicazione di massa, la manipolazione delle politiche educative e culturali e i meccanismi di censura contribuiscono ulteriormente a normalizzare una retorica dell’ostilità.
Le riflessioni sul cittadino
La democrazia, come scriveva il filosofo Jon Elster, si fonda anche sulla “forza civilizzatrice dell’ipocrisia”. Questa forza, sebbene imperfetta, garantisce che certi pregiudizi restino confinati nella sfera privata e non trovino legittimazione nel discorso pubblico. Quando invece il linguaggio denigratorio diventa prassi accettata, si innesca un processo pericoloso: il cittadino comune, vedendo che certi discorsi non sono sanzionati, si sente legittimato a diffondere stereotipi e pregiudizi. Il risultato è un dibattito politico svuotato di sostanza, in cui il confronto costruttivo viene sostituito da un’aggressività sterile e divisiva.
Se si recide il legame con la memoria storica e con i valori fondanti della Repubblica, si perdono le basi per un dibattito democratico autentico, in cui maggioranza e opposizione collaborano per il bene comune attraverso il confronto pubblico. La trasformazione dell’avversario in nemico, unita alla delegittimazione sistematica delle istituzioni, rappresenta una grave minaccia per la qualità della nostra democrazia.
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