Editoriali
Il nuovo Papa, lo spirito di Nicea e il bisogno di un mondo nuovo

A beneficio della Chiesa, indecisa fra profezia e carisma istituzionale, e dell’Europa, smarrita fra un passato opacizzato e un futuro incerto, Leone XIV deve incarnare lo spirito niceano. Cosa vuol dire? La Chiesa quest’anno ricorda il suo, difficile contestarlo, più importante concilio ecumenico, che si svolse a Nicea millesettanta anni fa esatti. In quel concilio del 325 si posero le basi teologiche e culturali dell’occidente, in particolare della parte europea. Il credo niceano non seppe solo imporre la nuova visione trinitaria della teologia, attraverso cui conciliare teosofia, cristologia e pneumatologia. Andò oltre.
Seppe offrire a un mondo non più completamente ellenico sul piano della teoresi filosofica e neppure romano nella sfera giuridico e istituzionale, la proposta di una nuova sintesi che sapesse conciliare entrambe con il messaggio cristiano. Da Nicea, non senza contraddizioni, i Papi e la Chiesa seppero, mediante l’elaborazione della patristica, indicare come costruire un rapporto dialogico fra teologia e filosofia, le cui ricadute si ebbero sul piano della organizzazione politica europea qualche secolo dopo con la nascita del soggetto popolo fra le sue grandi istituzioni costituite dall’impero e dalla Chiesa. Senza lo spirito di Nicea non si spiegherebbe la rivoluzione laicale di papa Gregorio VII, la quale favorì la separazione fra Stato e Chiesa. Chi fra i Pontefici del dopo Concilio Vaticano II ha saputo incarnare meglio il patrimonio niceano? Pochi dubbi in proposito: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Il primo sul piano politico ha esplicitato con atti di magistero, in primis l’enciclica Slavorum Apostoli ma anche con discorsi a carattere politico, che l’Europa o respira con due polmoni, quelli delle riforme cattolica e protestante e della esperienza ecclesiale e politica ortodossa, oppure al contrario sparisce. Il secondo sul piano teologico ha rimesso al centro la figura di Gesù, invitando il mondo accademico non solo cattolico a non cedere a una certa ermeneutica post conciliare che, nel voler essere a tutti i costi in dia-logos col mondo, ha finito per tralasciare, sottacendolo, il ruolo privilegiato e unico di Cristo come mediatore storico del Logos.
Di più. Senza il recupero della cristologia si perde anche la dimensione pneumatologica del cristianesimo. Dimensione invece presente nei grandi Padri della patria europea e che accomunava chi come Benedetto Croce credeva nell’Assoluto immanente con chi come Alcide De Gasperi, talvolta non in sintonia totale con il magistero papale, credeva al contrario nell’Assoluto trascendente. Lo affermava, già da cardinale, Ratzinger: la Chiesa attuale si trova nel contesto storico in cui ebbe a svolgersi il primo Concilio della sua bimillenaria storia, in cui a un mondo vecchio che sta per crollare si intravvede solo il bisogno di un mondo nuovo, i cui contorni però sono opachi e contraddittori.
La speranza è che Leone XIV, appunto, abbia lo spirito di Nicea.
© Riproduzione riservata