“Rimarrò a lungo” assicura Schlein, ma la fronda cresce.
Il Pd incolore di Elly si spacca sulle armi: indecisi su tutto da Kiev all’impianto per i rifiuti di Roma
L’acronimo è ASAP ma non deve trarre in inganno. Non si tratta dell’abituale abbreviazione inglese di As soon as possible, il prima possibile. È l’Atto di sostegno agli approvvigionamenti militari con il quale la Commissione europea ha chiesto all’europarlamento un impegno congiunto dei 27. Ed è solo l’ultima delle tegole che si sono abbattute sul Pd, ultimamente di fronte all’insipienza di una leader senza leadership.
Uscita sconfitta dal voto congressuale del Pd, dove aveva ricevuto il 34,9 % dei consensi a fronte di un Bonaccini col 52,5%, Schlein è stata votata dai non iscritti alle successive primarie aperte. Un vizio originale che aveva sospinto sin da subito lo scetticismo di molti. “In nessun partito normale fa il segretario chi viene votato meno dagli iscritti”, era stato il ragionamento condiviso, sin dal giorno dopo, da Matteo Orfini e Gianni Cuperlo. Ma così è. E da allora, era il 26 febbraio, Elly Schlein ha dovuto fare i conti con un partito rissoso e riottoso. Confuso e diviso. Ingovernabile, soprattutto da chi con la macchina dei Dem non aveva mai fatto i conti.
Lo dimostrano i risultati elettorali delle amministrative: una sconfitta dopo l’altra, dalla sua stessa Emilia Romagna alla Puglia, dalla Sicilia alle Marche, il ‘nuovo Pd’ di Schlein porta a casa i numeri più bassi di sempre. Tutte le amministrazioni civiche ‘rosse’, con l’eccezione di Vicenza, cambiano di segno e passano con il centrodestra. E la supermedia dei sondaggi ieri ha fatto registrare per il Pd un 20,6%: la flessione rispetto alla “luna di miele” si vede tutta. Frutto anche di un posizionamento che decide, metodicamente, di non decidere. Che sa di non poter scegliere, di non poter prendere posizione. Perché Schlein, eletta sulle ali di un recupero identitario a sinistra inchiodato a un armamentario per metà nostalgico e per metà movimentista, fatica a fare i conti con la realtà.
E ieri quando si è trattato di decidere in modo netto per chi votare, al parlamento europeo, ha mandato i suoi in libera uscita. Con il risultato strabiliante di riuscire a concedere un voto per ciascuna delle opzioni in piattaforma: sul rinnovato impegno per gli approvvigionamenti all’Ucraina il Pd è presente nelle tre posizioni: gli eurodeputati dem a favore sono 8, quegli astenuti sono 6 e c’è un voto nettamente contrario, quello di Massimiliano Smeriglio. Un partito-passepartout, che come preannunciato ieri da Lia Quartapelle sul Riformista prova ad aprire tutte le porte e però si avvita su se stesso, avviandosi verso la rottura.
Che il Partito Democratico non marci a ranghi compatti sul piano ‘Asap’, e’ un fatto dato per acquisito dai dirigenti dem di primo piano. E a poco servono gli aggiustamenti, pur maldestri, arrivati in corsa. Dopo un primo momento, in cui dai tabulati risultavano sei astensioni su 16 eurodeputati, la delegazione chiarisce che “le europarlamentari Alessandra Moretti e Patrizia Toia hanno votato a favore nel voto finale sul regolamento Asap. A causa di un errore tecnico nel voto finale compare nei registri l’astensione, ma entrambe le eurodeputate hanno votato a favore e hanno già proceduto a chiedere la correzione”.
Pertanto, le astensioni risulterebbero quattro: Pietro Bartolo, Camilla Laureti, Franco Roberti e Achille Variati, mentre Massimiliano Smeriglio ha votato contro e Giuliano Pisapia è risultato assente. Smeriglio, viene poi precisato in una velina dal Nazareno, “comunque è membro indipendente non iscritto al Pd”. Una nota che suona come una maldestra presa di distanze. La nuova segreteria annaspa e prende bordate perfino da Michele Santoro, che da Floris si scaglia contro Schlein senza freni: “Ma chi ha stabilito che ha capacità politiche?”, si chiede. I riflettori sono puntati sulle ricorrenti incertezze di Schlein, sui suoi Sì che molti interpretano come Ni che alla fine diventano No.
Qualcuno gioisce, e più di tutti il fronte filorusso. Alessandro Orsini, il notorio e discusso esegeta del pensiero di Putin twitta: “No ai fondi Pnrr per le armi. Grazie di cuore a Elly Schlein”. Enrico Borghi, che nei giorni scorsi aveva lasciato il Pd, si affida a Twitter: “Sipario. Il partito che più era stato filoatlantico riceve il plauso di Orsini. Ecco perché ho lasciato”. E non c’è solo l’Ucraina. Sul termovalorizzatore di Roma, la più importante battaglia del sindaco Dem Roberto Gualtieri, il piede in due scarpe di Schlein ha destato ilarità, raggiunta a Bologna dalla domanda di una giornalista aveva replicato: “Qui siamo a Bologna, non parlo di Roma”. Più decisa la sua responsabile ambiente della segreteria Dem, Annalisa Corrado: “Gualtieri si è legato mani e piedi a questo progetto. Blocchiamo il termovalorizzatore e a quel punto il sindaco si dimette? Non possiamo mettere a rischio la Capitale. Il progetto va ridimensionato”.
Piegandosi ai diktat dei grillini, il ‘nuovo Pd’ somiglia sempre più al vecchio M5S. E sulle scelte etiche, come la gestazione per altri, le ambiguità sono tali da aver provocato una fuoriuscita continua di esponenti nazionali e locali, a partire dall’addio di Beppe Fioroni. Pierluigi Castagnetti, che del Pd fu cofondatore, la boccia: “Parla per slogan vuoti”. Paola De Micheli avverte: “I cattolici non vengono considerati, è un problema”. Se Schlein è a favore della gpa, una gran parte dei Dem è sulle barricate. “È una pratica disumana”, taglia corto la senatrice Pd Valeria Valente.
E al Nazareno si continua a non discuterne. Il partito è disorientato. “State tranquilli, sono qui per rimanere. Mettetevi comodi”, la frase con cui la segretaria ha gelato chi la ascoltava nell’ultima diretta Instagram è sembrata la più stonata possibile. “Ma non statemi sempre tutti addosso”, si è schernita. L’8 aprile aveva detto di essere stanca: “Ora ho bisogno di staccare un po’”. Il Pd avrebbe invece bisogno di chiarirsi le idee. Asap, as soon as possible.
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