Che il reddito di cittadinanza (RdC) potesse abolire la povertà era un’allucinazione provocata da una clamorosa vittoria elettorale di una comunità di “scappati da casa’’ che, nel 2018, era stata trascinata in Parlamento e da lì sui banchi del governo a compiere un periodo di apprendistato politico direttamente nel ruolo di ministri e sottosegretari. Da un provvedimento che per l’intero periodo di vigenza (1° aprile 2019-31 dicembre 2023) è costato 34 miliardi era ovvio aspettarsi qualche rilevanza sulla vita dei cittadini e delle famiglie in condizioni di difficoltà economiche. A questo proposito è stato pubblicato nei giorni scorsi il Rapporto di monitoraggio sulla gestione e sugli effetti del reddito di cittadinanza nel periodo indicato, a cura di un Comitato scientifico istituito dalla legge per assolvere a quei compiti, presieduto da Natale Forlani.

Sulla base dei dati forniti dall’Osservatorio Statistico dell’Inps hanno percepito il sussidio di integrazione al reddito nel periodo di vigenza (aprile 2019-dicembre 2023), per almeno una mensilità, circa 2,4 milioni di nuclei familiari e 5,3 milioni di persone. Il numero medio delle mensilità percepite è di 26,4 per il RdC e di 32 per la pensione di cittadinanza (PdC).

L’efficacia del RdC sulla platea dei bassi redditi è risultata più elevata nel corso della pandemia Covid (2020-2021) e ha consentito la fuoriuscita di circa 450mila famiglie dalla condizione di povertà (circa 300mila nel 2022). Metà della spesa erogata nel biennio, circa 8,3 miliardi di euro ha contribuito a ridurre dell’0,8% l’indice delle disuguaglianze e dell’1,8% il rischio di povertà, insieme alle altre misure erogate dallo Stato a favore dei bassi redditi, in particolare dell’Assegno Unico Universale.

Ma dove casca l’asino? Secondo il Rapporto, il RdC in molti casi non ha raggiunto i veri poveri. La quota delle famiglie in condizioni di povertà assoluta beneficiarie delle prestazioni di sostegno al reddito ha raggiunto il massimo del 38% nel corso del 2021 (32,3% nel 2022), per una quota equivalente al 58,7% del totale dei percettori (53,4% nel 2022). Queste stime evidenziano- sottolinea laconicamente il Rapporto – la mancata partecipazione di un rilevante numero di famiglie povere, che deriva in parte dai criteri normativi di selezione dei potenziali beneficiari, mentre per una quota di costoro (il 46,6 nel 2022), non si riscontrano le condizioni di povertà sulla base dei criteri utilizzati dall’Istat. Tra i motivi, i tassi d’irregolarità e i rapporti di lavoro di breve durata.