Mi segnalano che Nicola Morra, senatore e presidente della Commissione antimafia, ha lanciato su twitter delle dichiarazioni contro questo giornale. Propone di chiuderci perché secondo lui siamo inutili. Di solito i presidenti delle varie commissioni Antimafia che si sono succeduti in questi circa 60 anni nel Parlamento italiano non hanno mai chiesto la chiusura dei giornali fastidiosi. Non lo hanno mai fatto finora (ai tempi del fascismo la commissione antimafia non esisteva…). L’antimafia ha avuto presidenti buoni e meno buoni, colti e meno colti, intelligenti e un po’ meno, democristiani, comunisti e socialisti, però non gli era mai capitato di avere un Presidente come questo Nicola Morra.

Per capirci, Morra è quello che ha combinato un casino del diavolo in una Asl calabrese, facendo irruzione insieme alla sua scorta armata, perché in quella Asl non si decidevano a vaccinare non si sa bene quale persona a cui lui teneva (corrente Scanzi…). È quello che se la prese con Jole Santelli, perché era morta, e quindi aveva compiuto una grave scorrettezza, sei mesi prima, presentandosi alle elezioni regionali. È quello che se l’è presa anche col presidente Mattarella, perché si fece uccidere il fratello dalla mafia. È quello che, messo al corrente da Davigo dello scandalo sulla Loggia segreta denominata “Ungheria” (la potentissima Loggia denunciata al Pm Storari dall’avvocato Amara) si tenne per sé la notizia (come del resto fece anche Davigo) spiegandoci finalmente con l’agire concreto cos’è la famosa trasparenza.

Beh, Morra – mi dicono – si sarebbe scandalizzato leggendo un articolo pubblicato giorni fa sul giornaletto di Travaglio (dico giornaletto senza nessuna intenzione sprezzante, ma semplicemente per distinguere bene il Fatto dai “giornaloni”, come li chiama sempre sdegnosamente lo stesso Travaglio) nel quale si spiegava che il Riformista vende solo poche centinaia di copie, e dunque ha pochi lettori, quindi un bilancio in rosso, e di conseguenza il suo editore, Romeo, per far pareggiare i conti deve investire dei soldi nell’informazione, e questo vuol dire che è un mascalzone. Morra ne ha tratto le conseguenze: meglio chiuderlo.

Spesso il Fatto pubblica articoli (specialmente di Marco Lillo, che da quando qualche Pm amico è stato messo sotto controllo è rimasto a corto di scoop) contro Romeo. In genere lo fa a sostegno delle tesi dei Pm (“in genere” è un eufemismo). Lo fece con molto ardore qualche anno fa, poi quando Romeo fu prosciolto e minacciò querele, il Fatto si precipitò a offrirgli due pagine di giornale per un’intervista rispettosissima, quasi omaggiante, raccolta e scritta molto disciplinatamente dal suo stesso direttore, cioè Marco Travaglio (rispettosa e omaggiante quasi quanto le interviste che di solito Marco fa a Piercamillo Davigo…). Ora però gli argomenti contro Romeo si stanno assottigliando, anzi sono scomparsi del tutto. Il povero Lillo, recentemente, aveva concordato una intervista graffiante con Romeo, ma poi disse che non gli erano piaciute le risposte, troppo convincenti, e non la pubblicò. Allora è spuntato il nuovo capo d’accusa.

Romeo investe i suoi soldi sull’editoria? Beh – dicono al Fatto – chiaramente è una mascalzonata. Se pubblicando un giornale non porta a casa profitti vuol dire che c’è qualcosa sotto, e lui è un farabutto. Avete presente gli anni di lotta dei giornalisti e dei sindacati per chiedere agli editori di non guardare solo al portafoglio, perché un giornale non è una saponetta e se lo fai devi farlo per dare informazione, idee, cultura, non per lucro? Beh, tutto cancellato. I giornali deve farli il mercato, pensano i nostri compagni del Fatto. Chi investe soldi suoi per l’informazione, deve essere spazzato via. Specialmente se il giornale che pubblica è su posizioni liberali, socialiste, garantiste, cioè “quanto di peggio prodotto dalla vecchia politica democratica e corrotta”: roba che la crociata giustizialista deve spazzare via al più presto.

Il Fatto Quotidiano, insieme ai 5 Stelle, da tempo si era dato questo obiettivo: cancellare ogni idea garantista dal dibattito pubblico. Negli anni dieci di questo secolo aveva avuto dei successi straordinari. Poi, proprio alla fine del decennio, è spuntato questo rompicoglioni di Riformista, che ha messo in difficoltà il partito dei Pm, che ha tirato frustate contro i 5 Stelle (pensate solo all’affare Philip Morris) , che ha iniziato a denunciare giorno dopo giorno la malagiustizia, e poi magistratopoli, e il Palamaragate, iniziando a tirarsi appresso via via qualche settore della stampa e della Tv. Questa cosa è sembrata imperdonabile agli occhi dei nostri amici. I quali concepiscono il pluralismo come qualcosa di legittimo, certo, purché dentro un recinto disegnato dall’ovale delle manette.

E allora scatta l’attacco al Riformista. Su cosa? Su qualche notizia falsa? Impossibile, non ne abbiamo data neppure una in quasi due anni di vita. Su qualche imbroglio? Non ce ne sono. Sul finanziamento pubblico? Niente, non prendiamo una sola lira dallo Stato e neppure lo Stato garantisce prestiti cospicui a nostro favore, come fa con il Fatto quotidiano. Dunque? L’accusa è atroce: “Vendete poco in edicola”. Voi avete mai visto un giornale che prende di mira un concorrente perché vende poco? E perché ha scelto di distribuire l’edizione cartacea solo in tre città? Vi dico solo una cosa: il Mondo di Pannunzio, forse il più importante punto di riferimento, ancora oggi, per il giornalismo italiano serio, vendeva nemmeno 2000 copie. In quegli anni i grandi settimanali popolari vendevano un milione o un milione e mezzo di copie. Pannunzio non si è mai sentito in concorrenza con loro, si sentiva, giustamente, su un altro livello. Pannunzio ha scritto la storia del giornalismo, i settimanali popolari da un milione di copie no.

Dopodiché va anche detto che i conti di Travaglio (l’articolo, al solito, lo ha firmato Marco Lillo) sono tutti sbagliati. Il Riformista è letto tutti i giorni da circa 150 mila persone (contatti unici), non da 150. Diciamo che l’errore è appena appena di tre zeri (naturalmente queste cifre sono certificate). L’edizione largamente più letta è quella sul Web. Il sito del Riformista è tra i 30 più forti d’Italia ed è in corso una crescita che non ha eguali. Il piano economico ed editoriale prevede il pareggio di bilancio al termine del quarto anno. L’ipotesi che i 5 Stelle prendano il potere, e trasformino l’Italia in quello che il nostro ministro degli Esteri definiva il Venezuela di Pinochet, è ormai molto remota. E quindi, restando aperta l’ipotesi che nel nostro paese resista la democrazia, le possibilità che Morra la spunti e chiuda il nostro giornale sono zero.

P.S. Il Riformista è probabilmente il maggior successo editoriale degli ultimi anni. Però si occupa solo di informazione, non ha tra i suoi obiettivi quello di introdursi nei gangli del potere. Su questo terreno il Fatto Quotidiano è molto superiore. È riuscito, a conclusione di una campagna giornalistica mirata, a sistemare un membro del suo consiglio di amministrazione alla Presidenza dell’Eni e nei giorni scorsi ha candidato un’altra sua esponente a sindaco di Milano. Gliene diamo volentieri atto.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.