L'editoriale
Il ritorno di Trump mostra la crisi dell’Occidente. Ora l’Europa deve rispondere con unità

Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, riemerge un problema a lungo celato sotto un velo di ipocrisia: la presunta compattezza dell’Occidente appare sempre più un’illusione del passato. L’idea di uno spazio geopolitico coeso, nonostante le differenze geografiche e di sviluppo industriale, si sfalda di fronte a una realtà segnata da fratture profonde.
Il dominio diretto
La nuova amministrazione americana mostra con brutalità quanto l’Occidente sia, in realtà, una costellazione di spazi politici in conflitto tra loro. L’ascesa alla presidenza di un leader che incarna il populismo autarchico – con un’America immaginata come un’isola autosufficiente, impegnata a difendere la propria eccezionalità con dazi e muri – conferma quanto sia ormai improprio parlare di un Occidente politicamente unitario. Ciò che balza agli occhi è la volontà esplicita di Washington di imporre un unilateralismo privo di mediazioni: più che guidare un’alleanza, gli Stati Uniti puntano a esercitare un dominio diretto. Ne deriva una strategia che non tiene conto degli equilibri tradizionali, ma piuttosto li stravolge, accentuando le faglie già esistenti tra le due sponde dell’Atlantico. A questo punto, la domanda cruciale è se queste tensioni siano parte di una dialettica ricorrente o il segnale di una svolta radicale. Stiamo assistendo all’ennesima conferma della fluidità dell’Occidente o alla sua dissoluzione?
I nuovi confini stabiliti dalla politica
Il ritorno di Trump porta con sé una ridefinizione della gerarchia interna: l’“anglosfera” assume un ruolo sempre più esclusivo, relegando l’Europa a una posizione marginale. Non è più la geografia a definire chi è dentro e chi è fuori, chi è amico e chi nemico: è la politica a stabilire i nuovi confini. Se così fosse, l’Occidente andrebbe inteso non più come un’entità storicamente determinata, ma come una configurazione mutevole, modellata dalle scelte strategiche della leadership americana. Valori, norme e princìpi non sono più fattori di un’identità condivisa, ma strumenti funzionali all’egemonia statunitense. Del resto, non è certo la prima volta che gli Stati Uniti esercitano la loro pressione per imporre i propri interessi. È però la prima volta che l’antagonismo tra gli obiettivi americani e quelli europei viene dichiarato in modo così esplicito. L’unilateralismo statunitense non lascia spazio a compromessi: l’importante è fissare regole di condotta, accompagnate da incentivi e sanzioni, che costringano l’Europa ad adeguarsi.
Di fronte a questo scenario, si può ancora parlare di un mondo “occidentale” o si sta delineando un ordine post-occidentale? La risposta dipenderà dalla tenuta delle istituzioni che hanno caratterizzato l’Occidente politico del secondo Dopoguerra e dalla capacità dell’Europa di proporre un’alternativa al liberalismo egemonico imposto dagli Stati Uniti. Senza una strategia autonoma, il Vecchio continente rischia di essere risucchiato in una spirale di irrilevanza. La visione revisionista dell’ordine internazionale promossa da Trump costringe dunque l’Europa a interrogarsi sul proprio ruolo. Tra il sovranismo distruttivo e l’europeismo conservativo si apre uno spazio per una strategia riformatrice che rilanci l’integrazione, sia sul piano politico che istituzionale. Se l’Europa vuole evitare di trasformarsi in una semplice pedina degli equilibri globali, deve riscoprire la propria vocazione politica e tornare a essere un soggetto autonomo.
Oggi l’Occidente si mostra per quello che è sempre stato: un’entità frastagliata e a geometria variabile. Esistono due Occidenti: quello continentale, fondato sulla misura, i confini e i limiti; e quello atlantico, che assegna agli Stati Uniti il compito di esercitare la supremazia, anche a costo di sacrificare gli interessi europei. Spetterebbe dunque all’Europa – all’Occidente della misura, per così dire – trovare una propria centralità geopolitica e agire, con le parole di Mario Draghi, “come se fosse un unico Stato”. Anche, se necessario, in contrasto con una pretesa egemonica che oggi si presenta con i tratti espliciti di una rinnovata arroganza neoimperiale.
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