Il ‘consiglio’ di Bruxelles
Il salario minimo è un diritto base, così l’Europa beffa i lavoratori
La super burocrazia bruxellese ha posto mano a una direttiva europea sul salario minimo. Lo ha approvata quello che viene chiamato il Trilogo, cioè un organismo che mette insieme informalmente Commissione, Consiglio e Parlamento dell’Unione europea. Si tratta di una raccomandazione affinché i paesi dell’Unione adottino delle misure per evitare che il salario scenda sotto una soglia che viene definita di decenza, di sopravvivenza. È un fatto nuovo. Il Consiglio dei ministri dell’Ue dovrebbe ratificarlo alla metà di giugno in Lussemburgo, poi dovranno passare due anni perché le misure diventino attuative.
Di fronte a un fatto nuovo, che dovrebbe migliorare una situazione lavorativa, i sostenitori di questa causa si dividono classicamente in chi considera la bottiglia, costituita dalla misura adottata, mezza piena e chi mezza vuota. Temo che sarebbe in questo caso una contesa vana perché ignorerebbe la nuova dinamica del potere, del potere di governo che caratterizza questa fase in Europa e nei suoi singoli Paesi, un potere che è diventato sistematicamente mistificatorio. In esso, la super burocrazia europea vede spesso quello che la politica si nasconde. Sarà per la maggiore vicinanza ai centri di analisi e di elaborazione dei dati, sarà perché meno oppresso dalla vicinanza dei poteri economici, che diventa stringente quando si fa vicina la decisione operativa. La verità dei salari scandalosamente bassi, dunque, non è stata risparmiata. La sua denuncia, da più parti sistematicamente prodotta senza alcun risultato politico, acquisisce così anche una voce istituzionale e diventa allora un problema politico. La direttiva è la risposta ad esso dell’Europa politica.
La politica nazionale ha sempre fatto peggio, ignorando del tutto il problema delle retribuzioni se non per azzeccare qua e là il reddito di cittadinanza. Chi aveva provato a indicare nel salario minimo una priorità assoluta – lo aveva fatto ancora qualche tempo fa, tra gli altri, Il Riformista – ha avuto dalla politica la risposta delle tre scimmiette. Dunque, quello europeo è un fatto nuovo, ma qual è la sua natura? Essa rischia di restare all’interno di quella logica gattopardesca, quella che entra in scena appena si affaccia la necessità di una novità. Le ragioni di questo strutturale deficit riformatore sono di fondo, attingono appunto alla struttura e alla cultura dell’attuale assetto istituzionale. Si sta dalla parte del mercato e dell’impresa e quando si deve assumere una misura favorevole ai lavoratori, allora non si decide, solo si consiglia. La misura consigliata non è un imperativo, dunque, e inoltre non è mai generale, tale da riguardare tutte e tutti i lavoratori, così può essere sempre ridimensionabile nel percorso attuativo della misura tanto da diventare al fine inefficace.
Pierre Mendès France diceva che per misurare una volontà riformatrice occorreva se non un orologio, almeno un calendario. Solo se c’è una data di attuazione della misura, se ne capisce la portata reale. Una misura di riforma è fatta di qualità e di quantità. Entrambe debbono essere direttamente misurabili dagli interessati per gli effetti che hanno sul loro lavoro e sulla loro vita. La direttiva del salario minimo, dicono coloro stessi che l’hanno proposta, non è vincolabile se non per l’ispirazione. Vuoi mettere che altrimenti si spaventi qualche padrone! Non è un trucco, peggio, è una cultura politica, appunto quella del potere mistificatorio. La denuncia del livello insopportabile dei salari non viene negata, contraddetta, contestata, viene assunta, ma oggettivizzata. Nessuno, perciò, ne porta la responsabilità, né i poteri politici, né i poteri economici, né i soggetti presenti sulla scena. La via della soluzione del problema non è mai conseguentemente contro quel qualcuno che pure ne è la causa, né viene proposta come una rottura rispetto all’esistente, al contrario, essa dovrà adattarsi alle diverse realtà in atto. Ma così, ogni aspettativa di riforma, ogni anche timido annuncio, viene riassorbito in un processo che contro qualsiasi innovazione a favore dei lavoratori afferma sempre la logica ferrea delle compatibilità con l’impresa e il mercato.
Questa logica neoconservatrice potrebbe essere spezzata solo dall’irruzione nel processo di un soggetto di massa critico e organizzato. Il sindacato confederale è ora di fronte a una sfida irrinviabile. Le reazioni alla direttiva non son fin qui incoraggianti, sia per le divisioni interne al sindacato confederale, sia perché non si vedono maturare le ragioni di uno scontro che si è fatto duramente di classe. La conquista del salario minimo per legge deve essere considerata ormai come una garanzia elementare, indispensabile, alla tutela di tutto il mondo del lavoro. Essa è necessaria e irrinviabile. Se il sindacato manca questa occasione si consegna alla divisione, alla frantumazione del mondo del lavoro e rinuncia all’obiettivo di riconquistare per sé il ruolo che gli spetta di autorità salariale. La direttiva indica nelle realtà ove la contrattazione collettiva non raggiunge l’80% la necessità di introdurre il salario minimo. Ma cosa vuol dire? La Germania ha un modello contrattuale concertativo sempre considerato forte, eppure ha il salario legale, che peraltro è di 12euro all’ora (che costituisce quindi un buon punto di riferimento per tutti i Paesi europei industrializzati).
Il dibattito sul rapporto tra contratto e legge nel Sindacato ha visto affermarsi uno spazio per la legge in materia di lavoro persino quando in Italia è stato massimo il potere contrattuale dei lavoratori e dei sindacati (la legge sullo Statuto dei diritti dei lavoratori); risibile, molto triste, è l’argomentazione secondo cui il salario minimo spingerebbe in basso le retribuzioni contrattuali. Il salario minimo orario stabilito per legge riguarda 21 Paesi europei, l’Italia è tra i pochissimi che non ce l’ha. Ma l’Italia è l’unico tra i paesi più industrializzati d’Europa nel quale le retribuzioni medie lordi sono diminuite dal 1990 quasi del 3%, quando nello stesso periodo in Germania sono aumentate del 33,7% e in Francia del 31,1%. Un’enormità. E c’è da rimanerne sconvolti. E non può sfuggire a nessuno la relazione assai stretta che esiste tra le pessime condizioni retributive dei lavoratori italiani e la diffusione della precarietà, dell’incertezza, dell’instabilità nel rapporto di lavoro.
Né vale più la grande storia italiana del primato della contrattazione sulla legge, sfidata com’è dall’area crescente di lavoratori senza contratto e comunque di lavoro povero. Si parla di un eventuale livello di 9 euro l’ora per il salario minimo legislativo, basterebbe ricordare che 4.578.535 lavoratori in Italia non li raggiungono neppure per non consentire altri rinvii o peggio la negazione dell’obiettivo stesso. Né può sfuggire il rapporto tra la mancanza di una tutela generale, come il salario minimo, e la platea enorme di lavoro nero e schiavistico che esiste in Italia. La direttiva europea certo non fa primavera, ma può fornire l’occasione per riaprire un grande contesa sul lavoro, com’è necessario, e aprire la propria partita della conquista del salario minimo per legge. Il salario contrattuale, il salario minimo per legge, un aumento salariale generalizzato, la riduzione del conio fiscale a favore dei lavoratori, il reddito di cittadinanza non sono istituti alternativi tra loro, sono le tessere di un mosaico da costruire per affrontare quella questione salariale che si è fatta una questione generale di società, il segno di una diseguaglianza intollerabile.
Vale per questo anche l’obiettivo del salario minimo per legge, quale ragione irrinviabile di un nuovo protagonismo sindacale e della costruzione di un soggetto sociale plurale e unitario, quello della riconquista. Si potrebbe persino sfidare il governo tecnico-oligarchico, il governo delle larghissime alleanze. Il governo in Italia ha fatto ricorso alla decretazione di urgenza per l’emergenza del covid, ha fatto ricorso poi alla decretazione per l’emergenza della guerra, ha fatto ricorso infine alla decretazione d’urgenza pressocché per qualsiasi esigenza di legiferare. Faccia ricorso al decreto allora anche per affrontare l’emergenza sociale, qui, l’emergenza salariale. Il potere mistificatorio andrebbe almeno disvelato per ciò che concretamente esso è nella realtà, un potere neoconservatore. Per introdurre davvero il salario minimo garantito per legge ci vorrebbe una svolta nella politica economica e sociale, entrambe possono venire solo da un nuovo protagonismo sindacale, da un nuovo soggetto che cambi la realtà concreta del Paese.
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