La riconciliazione
Il successo eterno di Don Camillo e Peppone. Quando il cinema italiano, a differenza della politica, sapeva immaginare un’alternativa

“È già abbastanza grave che la Rai-tv decida di mandare in onda un film tanto mediocre e così fortemente equivoco come Don Camillo e l’on. Peppone di Carmine Gallone. È doppiamente scandaloso che non avverta almeno la necessità di far precedere la proiezione da un’introduzione critica che ne precisi i limiti: storici, oltreché culturali. Peppone e Don Camillo sono legati a un momento della vicenda politica nazionale abbastanza preciso e sono il tipico prodotto di un qualunquismo politico, dietro il quale traspare un atteggiamento conservatore e reazionario”. Questo era quello che scriveva L’Unità l’8 giugno del 1968. Una posizione netta, che non era solo estetica ma profondamente ideologica. L’attacco del quotidiano si inseriva in una più ampia polemica durata anni, che vide il Pci ostile alla popolarissima saga cinematografica ispirata ai racconti di Giovanni Guareschi. Una serie composta da cinque film principali (tra il 1952 e il 1965) e un sesto rimasto incompiuto a causa della morte dell’attore protagonista, Fernandel, che interpretava Don Camillo accanto a Gino Cervi, nel ruolo dell’inossidabile sindaco comunista Peppone.
Un rifiuto mai velato
Il rifiuto ideologico nei confronti di Don Camillo e Peppone non fu mai velato. Già durante le riprese dei film, la federazione del partito di Reggio Emilia vietò agli iscritti di prendere parte alla produzione, anche solo come comparse, giudicandola “indegna” e definendola un “peccato mortale”. In quegli anni, l’Italia viveva una profonda frattura tra la Chiesa e il Partito Comunista, due entità che si contendevano l’egemonia morale e culturale sul paese. I film di Don Camillo, con la loro atmosfera di conciliazione e comicità bonaria, erano visti da una parte del mondo intellettuale come un tentativo di disinnescare la carica rivoluzionaria del comunismo e ridurre il conflitto politico a baruffe da paese, dove tutto si risolve in una stretta di mano o una scazzottata tra amici.
Una caricatura del militante comunista
Peppone era considerato una caricatura sminuente del militante comunista: ignorante, autoritario, ma alla fine malleabile, pronto a cedere alla saggezza “cristiana” del prete. A irritare maggiormente era anche l’uomo dietro le storie: Giovannino Guareschi. Figura atipica e scomoda nel panorama culturale italiano, era un fervente anticomunista, cattolico tradizionalista, fortemente critico nei confronti della modernità e della politica partitica. Eppure, la scrittura di Guareschi era tutt’altro che manichea. Nei suoi racconti, Don Camillo e Peppone non sono mai nemici assoluti, ma avversari leali, figli della stessa terra, uniti da un senso profondo del dovere e da una visione comune, seppur declinata in forme diverse. Entrambi sono personaggi umani, con difetti, orgoglio, ma anche tenerezza. In questo equilibrio tra conflitto e riconciliazione, molti videro una forma di nostalgia per un’Italia che stava scomparendo, travolta dall’urbanizzazione, dall’industrializzazione, dai nuovi modelli culturali.
Film popolari costruiti per il grande pubblico
I film tratti dai racconti di Guareschi erano film popolari, costruiti per il grande pubblico. L’ambientazione, un paesino emiliano immaginario, rifletteva un’Italia ancora rurale, divisa ma coesa, dove i rapporti umani superavano l’appartenenza partitica. Questo elemento, se da un lato fu la chiave del successo presso il pubblico, dall’altro alimentò l’accusa di qualunquismo. Perché in un momento in cui la politica era vissuta come passione e militanza, proporre una visione della società dove tutto finisce sempre a tarallucci e vino poteva sembrare, agli occhi dei più radicali, un modo per depotenziare la carica trasformativa del conflitto sociale. Eppure, la scelta di non schierarsi apertamente, di mostrare il bene e il ridicolo in entrambe le “fazioni”, era una presa di posizione molto forte. Una difesa di un’Italia umana e imperfetta, dove i valori cristiani, il senso del dovere e la fedeltà alla comunità erano più importanti delle ideologie.
La storia smentisce le profezie
La storia, si sa, spesso smentisce le profezie degli intellettuali. Prima stroncati dalla critica più politicamente impegnata, oggi i film di Don Camillo godono di un culto trasversale. Le loro repliche televisive ottengono ancora ottimi ascolti. Il dato del 5 aprile 2025 è emblematico: Don Camillo e l’onorevole Peppone, trasmesso in prima serata su Rete4, è stato visto da oltre un milione di spettatori, classificandosi come il terzo programma più seguito della serata. Un risultato che molte produzioni moderne possono solo sognare. Questo successo dimostra non solo l’efficacia narrativa dei film, ma anche la forza archetipica dei personaggi. Don Camillo e Peppone sono entrati nell’immaginario collettivo italiano perché incarnano un conflitto eterno, ma sono anche – e forse soprattutto – simboli di un’Italia in cui il dialogo era ancora possibile. Oggi, in un’epoca segnata da polarizzazione, scontro permanente e comunicazione aggressiva, la lezione dei due protagonisti appare più attuale che mai. Il loro rapporto è un esempio di opposizione civile, dove il dissenso non sfocia mai nell’odio.
La riconciliazione
La loro capacità di farsi beffe l’uno dell’altro, ma anche di soccorrersi nei momenti di bisogno, rappresenta un modello oggi quanto mai raro. Nel mondo reale, né la Chiesa né il Pci furono mai capaci di quel tipo di riconciliazione che i due personaggi mettevano in scena. Ma il cinema, e la letteratura, possono fare ciò che la politica non sa o non vuole: immaginare un’alternativa. Queste pellicole erano lo specchio di un Paese diviso ma desideroso di unità, di una cultura popolare che ha saputo parlare a tutti, anche a costo di essere accusata di ingenuità o qualunquismo. I giudizi duri degli anni Sessanta, come quello apparso su L’Unità, oggi ci appaiono forse eccessivi, figli di un tempo in cui tutto era visto attraverso la lente della lotta di classe. Eppure, quella tensione ideologica fa parte della nostra storia, ed è giusto ricordarla. In un’Italia sempre più smarrita, ritrovare Don Camillo e Peppone significa forse ritrovare una parte di noi stessi: quella che crede ancora che, nonostante le divisioni, si possa camminare insieme.
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